Vito Gamberale, l’uomo che può diventare il più potente dell’economia italiana
Economia

Vito Gamberale, l’uomo che può diventare il più potente dell’economia italiana

Fibra, aeroporti, energia: con il fondo F2i vuole creare un supergruppo da portare in borsa. Sfidando i 'country-killer'

Il suo sogno è creare una squadra di campioni: nelle autostrade, nelle telecomunicazioni, nell’energia, negli aeroporti, nell’acqua, nella fibra ottica, nei rifiuti. «Sì, l’obiettivo finale è portare in borsa il fondo e trasformarlo in una holding che controlla una serie di società, tutte forti nei rispettivi settori. Insomma, una public company con un nucleo di azionisti stabili». Qualcosa di inedito nell’economia italiana, un’evoluzione della grande impresa pubblica che gestiva le infrastrutture del Paese, ma senza i limiti dello Stato padrone né quelli del capitalismo familiare. Una specie di Iri 2.0.

Il sogno è di Vito Gamberale, e in effetti è lui l’unico in Italia a poterlo realizzare. Manager di lungo corso in aziende pubbliche e private, 68 anni, dal 2007 guida la F2i, Fondi italiani per le infrastrutture, una creatura ideata e voluta da lui stesso e che ha trovato nella Cassa depositi e prestiti e nella Fondazione Cariplo, nonché nelle altre fondazioni bancarie e nelle casse di previdenza, gli sponsor per decollare. Il risultato è che oggi la F2i gioca un ruolo importante in alcune delle partite chiave dell’economia, dove ha già messo sul piatto 1,8 miliardi: dallo scorporo della rete Telecom alla imminente quotazione della Sea, sulla quale l’interesse degli investitori è molto forte.

Intanto, come vede l’Italia in questo momento?
Vedo un Paese che ha bisogno di punti di riferimento solidi, di ricredere in se stesso. Emergono episodi sconcertanti per l’etica pubblica, con la politica e le istituzioni profanate da personaggi improponibili, impossibili. Ma penso anche che troppo spesso si ignorano gli aspetti positivi e si tramutano positività in negatività: quest’ultimo è lo sport dei «country-killer».

Per esempio?
Tra gli aspetti positivi di questo Paese ci sono tante eccellenze, come l’alta velocità o la Terna, che gli altri paesi non hanno. Ma nessuno lo ricorda. Così il Paese è indebolito sia dai corrotti e corruttori, i «moral-killer», sia dai country-killer. Mi viene in mente la trasmissione sulla Cassa depositi e prestiti di Report su Rai 3, che fornisce un’immagine del tutto distorta e falsata di una realtà solida su cui l’Italia può fare affidamento.

È la libertà di stampa...
Credo nella libertà di stampa ma credo pure nel rispetto delle istituzioni e dei cittadini: non bisognerebbe, per esempio, dare grande spazio a una notizia negativa su una persona e non dare lo stesso risalto all’evoluzione positiva della stessa notizia.

A quale episodio si riferisce?
Quest’anno la Procura di Firenze mi ha accusato di corruzione. La notizia è finita in prima pagina sui giornali e nei titoli di testa dei tg. Poi la stessa procura ha ritirato le accuse ma nessuno ha pubblicato la notizia, tranne Il Sole-24 Ore e La7. Non ne faccio un caso personale, è una cosa che è capitata a me come a tanti altri, ma non è un esempio di sana democrazia.

Ora è accusato di turbativa d’asta per l’acquisto di una quota dentro la Sea, la società degli aeroporti milanesi: come si difende?
Per sincero rispetto della magistratura non ne parlo e attendo serenamente l’epilogo della vicenda. Dico solo che sono accusato di turbare un’asta dove la F2i ha pagato un prezzo molto importante al Comune di Milano, consentendogli di realizzare una delle migliori privatizzazioni mai fatte in Italia.

Siamo in una nuova Tangentopoli?
Questo non lo so, ma sono sconcertato dal livello di corruzione che si percepisce: la Prima repubblica era più sobria e meno corrotta. Lei incontra investitori esteri che devono mettere i soldi in Italia: come ci vedono? La conoscenza che hanno del Paese è articolata e a volte distorta da quel vizio che abbiamo di accentuare le negatività. Però all’estero è stata colta la credibilità del governo Monti.

E l’effetto Nimby non sta diventato un problema serio per chi fa investimenti?
Lo è, e per fortuna il governo si sta muovendo verso la direzione giusta, cioè dare al governo centrale l’ultima parola sulle decisioni che riguardano le grandi infrastrutture. Il problema è che da noi l’ambientalismo è basato spesso più sulla demagogia che su dati scientifici.

La F2i compra reti in fibra ottica, autostrade, reti di gas, imprese di energia verde e di trattamento dei rifiuti: non è che stiamo ripubblicizzando l’economia?
Il fondo è privato, la Cdp ha investito 150 milioni sui 1.852 raccolti, l’8 per cento. Di certo la sua presenza irrobustisce il profilo di istituzionalità del fondo. La F2i è una vera public company che investe nelle grandi infrastrutture, non è certo una nuova Iri.

Avete la maggioranza della Metroweb che si propone di cablare le città italiane con la fibra. Mentre altri, come la Telecom, sostengono che il cavo di rame può ancora dare molto. Chi ha ragione?
Sono contro le guerre ideologiche, soprattutto in campo tecnologico. La realtà italiana è bipolare: Milano è l’eccellenza nella ultrabanda larga in Europa grazie alla Metroweb. Poi c’è il resto dell’Italia che è in coda alle classifiche europee per velocità di navigazione su internet e per capacità di download di dati. L’ideale sarebbe prendere le città più sviluppate e iniziare a cablare queste per portarle all’eccellenza di Milano. Vent’anni fa la Telecom, allora sana e leader a livello internazionale nel fisso e nel mobile, voleva cablare l’Italia. Ma della Telecom fu fatto scempio con una privatizzazione che si rivelò negativa. Ora è indebitata ed è debole.

Auspica un modello Terna o Snam Rete Gas per la rete di telecomunicazioni?
La separazione della rete non va vista come un modo per depauperare la Telecom, ma per avere una società separata, quotata e controllata dalla stessa Telecom, che potrebbe così ridurre i propri debiti. In questa società potrebbero entrare il Fondo strategico della Cdp e la Metroweb.

Probabilità di successo di questo piano?
Il prodotto delle probabilità delle singole disponibilità dei tre soggetti coinvolgibili. Da parte di Metroweb e Fondo strategico c’è il 100 per cento di adesione all’idea. Resta l’incognita della Telecom. Forse è uno di quei casi in cui la moral suasion del governo sarebbe utile.

Qual è il piano della F2i nelle autostrade?
L’Italia è come una T: sull’asse nord-sud c’è l’Atlantia dei Benetton. A ovest c’è Gavio. Sugli assi Milano-Genova e Milano-Venezia invece ci sono autostrade che fanno capo a decine di enti locali. Ecco, noi insieme con altri soggetti potremmo acquisire questa parte pubblica della rete autostradale.

E negli aeroporti?
Abbiamo intenzione di privatizzarne alcuni di quelli con oltre 2 milioni di passeggeri all’anno, e di standardizzarli nella sicurezza, nell’accoglienza e anche nei controversi rapporti con le compagnie low-cost.

Non ci sono troppi aeroporti in Italia?
Sì, e molti andrebbero chiusi subito senza aspettare improbabili piani di risanamento: per loro le due parole «in utile» saranno sempre unite in una sola, «inutile».

Linate va ridimensionato?
Il derby Malpensa-Linate non ha senso, la relazione tra i due scali va resa più efficiente.

Su quali altri fronti state puntando?
Il futuro è nelle energie rinnovabili, dove bisogna iniziare un processo di aggregazione per creare dei campioni nazionali. Lo stesso vale per i rifiuti e l’acqua.

Torniamo all’Italia: come può ripartire?
Bisognerebbe dare più liquidità alle famiglie attraverso una riduzione delle tasse sui redditi più bassi. Oggi paghiamo 150 miliardi di Irpef, circa 3.600 euro in media per contribuente. Ma se si fa un’analisi per fasce di reddito, sotto i 28 mila euro si pagano in media 1.600 euro di tasse all’anno. Occorre intervenire qui.

E le risorse dove si trovano?
Ogni anno lo Stato trasferisce alle regioni a statuto speciale 18 miliardi: forse è ora di chiudere questa anomalia anacronistica e di dirottare i fondi alle fasce più deboli dei cittadini. Poi ci vorrebbe una patrimoniale seria: i ricchi potrebbero fare un patto con lo Stato e accettare di versare per 5 anni una quota della propria ricchezza come forma di compensazione per i vantaggi ottenuti negli anni passati, direttamente e indirettamente, grazie alla «droga» del debito pubblico. Se per pura ipotesi l’aliquota fosse dell’1 per cento, ogni anno arriverebbero nelle casse dello Stato 90 miliardi che servirebbero a ridurre il debito e quindi gli interessi che paghiamo: si libererebbero così risorse per abbassare le tasse. Al di là dell’aliquota, l’importante sarebbe dare un segnale forte. Infine riprenderei in mano il piano casa di Silvio Berlusconi, liquidato in modo troppo frettoloso.

Il bilancio delle privatizzazioni spesso è stato negativo...
Dipende. L’Italia dagli anni Ottanta al 2000 ha fatto tante privatizzazioni: prima ha ceduto le società manifatturiere, dalla Nuovo Pignone alla Lanerossi, e sono andate bene. Poi è toccato ai servizi e alle infrastrutture: Eni, Enel, Terna sono stati casi fantastici. C’è stata invece criticità sulla Telecom, perché la cessione ai privati ha fatto esplodere il debito. E per quanto riguarda l’Autostrade, azienda che ho guidato, c’è poca generosità di giudizio: ogni anno investe oltre 1 miliardo di euro. Fa quello per cui si è impegnata, nonostante le difficoltà dei processi autorizzativi.

Dicono che lei ha un pessimo carattere...
In genere si dice che chi ha carattere ha un brutto carattere… Credo si debba rispettare ed essere rispettati, soprattutto per le realtà imprenditoriali che si rappresentano. Ho sempre difeso con fermezza gli interessi delle aziende di cui ho avuto la responsabilità e credo sia un dovere. Qualche volta, poi, l’essere schivo e riservato può essere scambiato per scontrosità. Faccio una vita semplice, ho una famiglia di cui sono orgoglioso e non ho mai amato la mondanità. In fin dei conti sono rimasto un timido, come quando arrivai da Agnone a Roma, per studiare. Tutto qui. Non è cambiato nulla. Solo l’età, purtroppo.

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Guido Fontanelli