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ZAKARIA ABDELKAFI/AFP/Getty Images
Economia

Le conseguenze delle inchieste su Vincent Bolloré

Ecco perché se l’offensiva giudiziaria lo trasformasse in una stella cadente, l’impatto sulla finanza italiana sarebbe dirompente

La stella di Vincent Bolloré si era già appannata e lui lo aveva capito, tanto da annunciare, di punto in bianco e tra la sorpresa dei suoi più stretti collaboratori (così almeno la racconta Tarak ben Ammar), l’abbandono della presidenza di Vivendi nelle mani del primogenito Yannick.

Ma se l’offensiva giudiziaria nei suoi confronti trasformerà il miliardario bretone in una stella cadente, l’impatto non solo sulla finanza francese, ma su quella che un tempo in Italia veniva chiamata la Galassia del Nord, sarebbe dirompente e, alla fine della fiera (espressione cara al bel Vincent) "salutare".

Bolloré tiene in mano un intreccio di partecipazioni incastrate l’una nell’altra come una matrioska: Tim, Mediaset, Mediobanca che sua volta controlla le Generali ed è controllata dalla Unicredit; telecomunicazioni, media, finanza, assicurazioni, frutto di una serie di attacchi e contrattacchi che si protraggono ormai da quindici anni.

All’assemblea di Vivendi il 19 aprile scorso alcuni azionisti gli hanno rimproverato gli insuccessi incontrati dalle sue scorribande in terra italiana. Lui ha risposto che i conti si faranno solo “alla fine della fiera” (appunto). Ma forse non aveva ancora messo nella colonna dei meno la ricaduta delle sulfuree partite africane.

Di cosa è accusato

Le accuse sono pesanti e coinvolgono direttamente Vivendi. Attraverso la controllata Havas che gestisce l’intera torta pubblicitaria, utilizzando un giro di trasferimenti e false fatture, si sarebbero comprati i buoni uffici di alti funzionati della Guinea e del Togo (si arriva su per la catena agli stessi presidenti, rispettivamente Alpha Condé e Faure Gnassingbé) per assicurarsi ricche concessioni portuali.

Il gruppo Bolloré fattura circa 7 miliardi di euro su un totale di dieci o poco più, attraverso il controllo di porti, trasporti, distribuzione del petrolio, piantagioni e miniere. soprattutto in Africa. Una fonte di denaro contante che negli ultimi due anni ha cominciato a incontrare difficoltà in seguito all’andamento dei prezzi dei minerali e del greggio.

In ogni caso, l’intero impero si basa sul quello che viene chiamato il suo “cuore nero” collocato nell’Africa centro-occidentale, da lì vengono le munizioni utilizzate per le offensive finanziarie nelle quali Bollorè si è conquistato la palma di raider spregiudicato.

La presenza in Italia

In Italia è arrivato nel 2002 cominciando da Mediobanca grazie al suo mentore Antoine Benheim, vecchio partner di Lazard nonché presidente delle Assicurazioni Generali.

Il finanziere di origine bretone (la famiglia possedeva un vecchio impianto specializzato in carta fine per sigarette) si è presentato come cavaliere bianco contro l’offensiva parallela di Unicredit guidata da Alessandro Profumo e della Banca di Roma presieduta da Cesare Geronzi, i quali volevano rimettere in discussione i vertici della banca d’affari orfana di Enrico Cuccia.

Ha conquistato oltre l’8% del capitale insieme ad alcuni soci francesi tra i quali il gruppo assicurativo Groupama, collocandosi come secondo azionista dopo Unicredit. E di lì non si è più spostato.

Per anni ha sostenuto Bernheim alla presidenza delle Generali, dopo lo ha mollato e il vecchio Tonio non glielo ha mai perdonato: “L’ho accompagnato lungo tutta la sua carriera poi mi ha tradito”, ha dichiarato nel 2011 un anno prima di morire.

I voltafaccia

Ma di voltafaccia Bolloré è un vero esperto, lo ha dimostrato anche nel suo tentativo di scalata a Mediaset, facendo saltare di punto in bianco l’accordo per l’acquisizione di Mediaset Premium che avrebbe dovuto convolare in nozze con Canal Plus.

Ma anche in Vivendi il finanziare bretone aveva usato la stessa tattica: entrato quasi in punta di piedi con un piccolo pacchetto azionario, è diventato primo azionista e ha fatto saltare il banco mettendo a comando tutti i suoi uomini. Proprio come in Telecom Italia.

È in corso lo scontro con il fondo Elliott, sostenuto dalla Cassa depositi e prestiti, per il controllo di Tim della quale Vivendi possiede il 24% circa e nomina gli organi di gestione. La resa dei conti è rinviata all’assemblea straordinaria del 4 maggio, per ora i francesi hanno vinto un round perché il tribunale ha riconosciuto che l’attuale consiglio è decaduto e dovrà essere rinnovato con il voto di lista, il che può avvantaggiare il socio di riferimento.

Cosa può succedere ora

La notizia che Bolloré è trattenuto dalla polizia a Nanterre è arrivata proprio il giorno in cui era convocata l’assemblea ordinaria e ha fatto stappare champagne a tutti i nemici del raider. Anche se occorre sempre essere garantisti, oltre che prudenti, è inutile negare che il colpo sul piano reputazionale è notevole e foriero di conseguenze.

Vivendi oggi è il secondo azionista di Mediaset con il 29% del capitale e ha trasferito al blind trust Simon Fiduciaria il 19,59% dei diritti di voto. L'Agcom aveva dato un anno di tempo al gruppo francese per scegliere tra la partecipazione in Tim e quella nella società televisiva, ma la quota è destinata a uscire dal perimetro del gruppo in tempi stretti che diventeranno probabilmente ancor più rapidi.

E cosa accadrà poi in Mediobanca? Un’uscita di scena di Bolloré aprirebbe un grosso interrogativo sul controllo della creatura di Cuccia. Mediobanca è retta da un equilibrio azionario tra Bolloré e Unicredit e a sua volta è il primo socio delle Generali con poco più del 12% che dovrebbe scendere al 10.

Alle Generali è in corso già un rafforzamento delle posizioni di soci italiani come Caltagirone, Benetton e Del Vecchio, mentre in molti, compresi Caltagirone e Benetton, stanno cercando di convincere il patron di Luxottica a diventare l’aggregatore di un nocciolo duro italiano.

Uno scenario possibile è che Unicredit aumenti la propria quota, assuma il controllo di Mediobanca e, a cascata, delle Generali. In borsa se ne parla da tempo ed è stato sempre smentito.

Quanto a Tim, a questo punto Vivendi potrebbe scendere a più miti consigli e trattare sia con Elliott sia con Cdp in vista di un riassetto complessivo gestito in modo consensuale, a cominciare dalle scorporo della rete e delle controllate sensibili ai fini della sicurezza nazionale. Quanto a Mediaset, il sogno di conquista spodestando Berlusconi o relegandolo ad azionista passivo, è destinato a tramontare, comunque vada la vicenda giudiziaria. Il grand-opéra è arrivata alle battute finali.

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Stefano Cingolani

Stefano Cingolani, nasce l'8/12/1949 a Recanati e il borgo selvaggio lo segna per il resto della vita. Emigra a Roma dove studia filosofia ed economia, finendo a fare il giornalista. Esordisce nella stampa comunista, un lungo periodo all'Unità, poi entra nella stampa dei padroni. Al Mondo e al Corriere della Sera per sedici lunghi anni: Milano, New York, capo redattore esteri, corrispondente a Parigi dove fa in tempo a celebrare le magnifiche sorti e progressive dell'anno Duemila.

Con il passaggio del secolo, avendo già cambiato moglie, non gli resta che cambiare lavoro. Si lancia così in avventure senza rete; l'ultima delle quali al Riformista. Collabora regolarmente a Panorama, poi arriva Giuliano Ferrara e comincia la quarta vita professionale con il Foglio. A parte il lavoro, c'è la scrittura. Così, aggiunge ai primi due libri pubblicati ("Le grandi famiglie del capitalismo italiano", nel 1991 e "Guerre di mercato" nel 2001 sempre con Laterza) anche "Bolle, balle e sfere di cristallo" (Bompiani, 2011). Mentre si consuma per un volumetto sulla Fiat (poteva mancare?), arrivano Facebook, @scingolo su Twitter, il blog www.cingolo.it dove ospita opinioni fresche, articoli conservati, analisi ponderate e studi laboriosi, foto, grafici, piaceri e dispiaceri. E non è finita qui.

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