Uscire dall'euro: i quattro motivi per non farlo
Economia

Uscire dall'euro: i quattro motivi per non farlo

Alcune buone e semplici ragioni per non abbandonare la moneta unica

L'ipotesi è suggestiva e si è fatta strada da tempo nell'opinione pubblica italiana: bisogna uscire da Eurolandia, liberarci della moneta unica e adottare una valuta nazionale. E bisogna “staccarci dalla mammella” della Banca Centrale Europea (Bce), riacquistando la nostra sovranità economica e consentendo alla Banca d'Italia di stampare moneta. Soltanto così, dicono gli euroscettici, si risolverebbero i problemi dell'Italia, ingabbiata nella trappola dello spread e del rigore di bilancio imposto dalla Germania di Angela Merkel. Peccato, però, che spesso ci si dimentichi dell'altra faccia della medaglia, cioè dei duri contraccolpi che l'uscita dall'euro potrebbe avere invece sulla società e sull'economia del nostro paese. Ecco, di seguito, quattro buone ragioni per tenerci la moneta unica.

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LA FUGA DI CAPITALI. L'uscita da un'unione monetaria, con l'adozione di una nuova valuta, è un passaggio tecnicamente difficile che deve avvenire con un'operazione-lampo, gestita nell'arco di poche ore e accompagnata dal blocco provvisorio dei movimenti di capitale. Così è avvenuto, per esempio, nella Repubblica Ceca e in Slovacchia che negli anni '90, dopo la caduta dei regimi dell'est, avevano mantenuto per qualche anno una traballante unione monetaria. Se l'operazione di uscita dall'euro non viene gestita bene e non rimane confinata nel segreto delle stanze diplomatiche, si rischia una fuga di capitali all'estero. Non appena sarà chiara la volontà dell'Italia di abbandonare la moneta unica, molti investitori saranno infatti spinti a darsela a gambe, spostando le attività finanziarie detenute nel nostro paese verso nazioni con una valuta più forte.

IL DEBITO. Oggi tutto il debito pubblico italiano ha un valore espresso in euro (circa 2mila miliardi). Cosa accadrebbe se il nostro paese adottasse una nuova valuta al posto della moneta unica? I possessori dei titoli di stato (soprattutto gli stranieri che detengono ancora più di un terzo del nostro debito), difficilmente accetteranno di convertire i loro crediti in una nuova moneta che vale meno. In altre parole, chi possiede i Buoni del Tesoro pretenderà che vengano ripagati in euro (cioè nella valuta in cui sono stati emessi), anche a costo di affrontare delle cause legali contro lo stato italiano. Dunque, è probabile che il nostro paese sia comunque costretto a rimborsare l'attuale stock di debito in euro, mentre il suo prodotto interno lordo (pil) sarà espresso in una nuova moneta che vale meno. In questo modo, il rapporto tra debito pubblico e pil (che oggi è poco sotto il 130%) rischia di schizzare verso l'alto alla velocità della luce, magari per superare il tetto del 150%.

LE IMPORTAZIONI. Spesso i fautori dell'uscita dall'euro mettono in evidenza i potenziali benefici che il nostro paese avrebbe adottando una moneta svalutata, come la vecchia lira. In questo modo, infatti, le nostre esportazioni riprenderebbero a viaggiare con il turbo, acquistando grande competitività sui mercati. Ci si dimentica, però, di due cose: innanzitutto, l'export made in Italy non va affatto malissimo e oggi è tornato ai livelli precedenti la crisi economica, nonostante l'esistenza dell'euro. Inoltre, l'Italia non è soltanto una nazione esportatrice ma anche un grande importatore di materie prime. Il deficit energetico del nostro paese, per esempio, è attorno a 65-70 miliardi a causa dell'import di gas e petrolio, il cui valore sui mercati internazionali viene esperesso in dollari e si impennerebbe all'improvviso se l'Italia avesse una moneta svalutata. Occorre ricordare, infine, che il nostro paese ha la seconda industria manifatturiera d'Europa, che eccelle in alcuni segmenti come la meccanica industriale, particolarmente bisognosi di materie prime.

L'INFLAZIONE E I TASSI D'INTERESSE. Non appena un paese decide di svalutare la propria moneta, ovviamente corre il rischio di una fiammata dell'inflazione a causa di un maggior costo delle materie prime importate, che indirettamente finiscono nel carrello della spesa. Quando i prezzi aumentano troppo, inoltre, la Banca Centrale di un paese tenta spesso di fermarli aumentando anche i tassi di interesse, cioè il costo del denaro. Al momento, una possibile fiammata inflazionistica non viene considerata tra le conseguenze più gravi dell'uscita dall'euro anche se non va mai dimenticato ciò che è già successo nella storia italiana, soprattutto negli anni '70  e '80. In passato, il nostro paese ha effettuato più volte delle svalutazioni competitive della lira, guadagnandosi però un triste primato: quello di avere dei tassi d'interesse e una crescita dei prezzi altissimi, entrambi a due cifre.

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Andrea Telara

Sono nato a Carrara, la città dei marmi, nell'ormai “lontano”1974. Sono giornalista professionista dal 2003 e collaboro con diverse testate nazionali, tra cui Panorama.it. Mi sono sempre occupato di economia, finanza, lavoro, pensioni, risparmio e di tutto ciò che ha a che fare col “vile” denaro.

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