I tre motivi per cui i no global avevano ragione
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Economia

I tre motivi per cui i no global avevano ragione

Le previsioni sulle ricadute negative della globalizzazione su lavoro, ambiente e qualità dei prodotti si sono tutte avverate

E se i primi "no-global" avessero avuto ragione? Sappiamo che il movimento che lotta contro gli effetti della globalizzazione  è stato caratterizzato da eccessi ed è stato monopolizzato da frange di estremisti. Le gesta di gruppi antisistema e violenti come quello, famigerato, dei "Black Block" hanno, nei fatti, cancellato agli occhi del grande pubblico il messaggio originale del movimento, così come era stato elaborato a Seattle nell'ormai lontano 1999.

A quindici anni di distanza dalle prime espressioni dei movimenti contro la globalizzazione, il quotidiano The Atlantic , avvalendosi delle ricerche di importanti ed affermati economisti, riflette sulle ragioni delle proteste di allora e si domanda se i loro timori non fossero effettivamente fondati. Le conclusioni sono a favore dei manifestanti di Seattle. Sui cartelli che vennero portati in piazza si paventava, ad esempio, che il crescente sfruttamento del lavoro a basso costo nei Paesi emergenti provocasse un calo delle condizioni dei lavoratori anche in Occidente; che spostare le produzioni in nazioni poco attente alle problematiche ecologiche avrebbe portato a gravidanni per l'ambiente; che i prodotti importati da quegli stessi Paesi non avrebbero rispettato gli standard di qualità in vigore nei Paesi sviluppati e sarebbero stati più pericolosi per i consumatori.

All'epoca, quegli slogan vennero liquidati con un'alzata di spalle da chi, all'Organizzazione Mondiale per il Commercio, stava stabilendo le regole per il commercio globale a venire. Oggi in molti pensano che la gente che scese in piazza avesse ragione – e gli analisti di The Atlantic sono fra loro.

L'articolo integrale: The Dark Side of Globalization: Why Seattle's 1999 Protesters Were Right

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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