Tre motivi per cui l'economia della Russia non può sostenere le ambizioni di Putin
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Economia

Tre motivi per cui l'economia della Russia non può sostenere le ambizioni di Putin

La minaccia energetica non è credibile, l'economia russa è già troppo debole, e l'isolazionismo in nome del nazionalismo finirà presto col distruggerla

"Putin ha perso". Lo scrive il Time , spiegando alcuni dei motivi per cui le ambizioni del nuovo Zar di RussiaVladimir Putin avrebbero bisogno di ben altre basi economiche per essere portate avanti.

La minaccia dell'azzeramento delle esportazioni di petrolio non può essere credibile. Sono tanti i paesi che usano le risorse energetiche per ricattare i rispettivi partner in affari nella speranza di aumentare così il proprio peso specifico nell'arena geopolitica globale. Lo hanno fatto i paesi arabi, la Nigeria, l'Iran, e oggi tocca alla Russia. Sulla carta la minaccia della chiusura degli oleodotti funziona. Del resto, se un terzo della fornitura energetica dell'Europa occidentale arriva da Mosca, non è così strano che il Vecchio Continente non sia interessato a spingere per l'applicazione di sanzioni commerciali nei confronti della Russia. Il timore è che questo tipo di pressioni possano avere come unica conseguenza la chiusura di gasdotti e oleodotti. Quindi meglio non fare troppo rumore per evitare problemi interni ben più difficili da gestire.

Attenzione però, l'Europa verrebbe penalizzata da una riduzione delle esportazioni energetiche tanto quanto la Russia. Questo perché anche quest'ultima, in teoria, non può permettersi di perdere i suoi principali partner commerciali. E in una fase in cui gli Stati Uniti stanno lavorando per fare in modo che la rivoluzione dello shale gasli trasformi in esportatori netti di fonti energetiche, Mosca deve stare ancora più attenta a evitare di perdere forniture importanti. Priorità, questa, che compromette profondamente la credibilità della sua minaccia.

Eppure, anche "l'alternativa americana" hai suoi limiti, perché la rivoluzione dello shale gas, ammesso che sia davvero prossima, avrà bisogno di tempi ben più lunghi di quanto immaginiamo per essere completata. Lo sostengono gli esperti, consapevoli delle difficoltà legate sia ai processi di estrazione e raffinazione di questa risorsa, sia al trasporto della stessa. Da qui la conclusione che la minaccia e la posizione economica della nuova Russia di Putin non siano state compromesse dall'offensiva energetica americana.

Se questo è vero, dando per scontato che Cina e India se ne guarderanno bene dal mettere i bastoni tra le ruote alla Russia, il progetto di Putin potrebbe fallire solo a fronte di un'implosione della nuova "Grande Russia". Per questo dobbiamo cercare di capire cosa potrebbe innescarla.

Il declino della Russia è cominciato molto prima dell'esplosione della crisi con l'Ucraina. L'economia del paese negli ultimi tempi è cresciuta troppo lentamente, e a dispetto degli aumenti del prezzo del petrolio, le ultime stime avevano presentato come "ideale" un tasso dell'1 per cento per il 2014. Il "grande emergente", quindi, aveva improvvisamente smesso di essere tale. E alla luce della massiccia fuga di capitali da cui è stato travolto, un recupero non poteva che apparire improbabile, se non impossibile.

La borsa sta andando malissimo, il rublo ha perso il dieci per cento del suo valore, e tutto questo non dipende certo dall'invasione della Crimea.

Da quando ha assunto la Presidenza della Russia Putin ha fatto di tutto per fare in modo che il potere si concentrasse nelle sue mani e in quelli di un paio di fedelissimi che lo sostengono dai tempi del KGB.

Una manciata di ore fa ha dichiarato che lo smembramento dell'Unione Sovietica non può essere considerato del tutto legale, che "la Russia è per i russi", e che ogni legame con l'estero sia potenzialmente pericoloso.

Il problema è che così facendo si è condannato da solo. In un mondo globalizzato dove la sopravvivenza dei singoli stati, lo ha capito anche la Cina, dipende dall'economia, l'isolamento non lascia vie d'uscita, ed è più pericoloso di un patto col diavolo. Poco importa che qualche mese fa, in tempi ancora relativamente poco sospetti, il nuovo Zar abbia invitato il suo popolo a rimpatriare i capitali dall'estero. Per quanto la maggior parte dei sudditi, complice la paura innescata dall'ondata di repressione che continua a mietere vittime, lo abbia ascoltato, non basteranno certo questi fondi a rilanciare l'economia nazionale. Al contrario, di questo passo i successi ottenuti nell'ultimo decennio potrebbero essere spazzati via in un paio di mesi.

Gli anni di protezionismo e isolazionismo sono finiti. Solo Putin e i nazionalisti che, assetati di potere, hanno deciso di accordargli la loro fiducia, non lo hanno capito. Condannandosi all'autodistruzione.

 

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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