Telecom Italia rilancia sulle startup con Working Capital
Economia

Telecom Italia rilancia sulle startup con Working Capital

Il programma apre tre incubatori a Milano, Roma e Catania. 

Mentre sta decidendo sul suo futuro (il dossier sull'integrazione con 3 sarà sul tavolo del board l’8 maggio) Telecom Italia lavora sulle start up. Anzi, rilancia. All’insegna, neanche a farlo apposta, del numero 3. Tanti sono gli incubatori che in maggio saranno aperti a Milano, Roma e Catania. Tre “case”, arredate per allevare imprese giovani e innovative, che rappresentano la nuova fase “fisica” di Working Capital, il programma di accelerazione attivo dal 2009. “E stiamo pensando di aprirne altre due“, anticipa l’amministratore delegato Marco Patuano.

In occasione dell’apertura dell’indirizzo romano Patuano ha annunciato due novità di non poco conto, viste le enormi difficoltà che hanno le nuove imprese quando devono cominciare a vendere i loro prodotti. “Le aziende, specie quelle grandi, sono più burocratiche di quanto vorremmo. E sappiamo quanto sia importante ma complicato per una start up avere il primo cliente. Quindi chi entrerà nei nostri incubatori entrerà anche nell’elenco dei fornitori certificati”.

Una piccola rivoluzione, dal momento che nessuna start up ha i requisiti di solito richiesti per stare in quelle liste. Ma non finisce qui. Perché generalmente le aziende già collaudate sono molto caute nella gestione dei loro budget e preferiscono andare sul sicuro senza rischiare con un’impresa neonata. “Se un'azienda sceglie come fornitore una delle startup, i primi 100mila euro vengono forniti da Telecom”, dice Patuano, che avrà a disposizione per questi incentivi un budget a sei zeri.

Salvo Mizzi, ideatore e motore di Working Capital, è più che soddisfatto delle sue creature e della svolta: “Albo veloce e basket innovazione a disposizione dell’amministratore delegato sono un passo concreto per cambiare l’innovazione in Italia. E possono essere un modello anche per la pubblica amministrazione”. Arriva via Twitter la manifestazione d’interesse di Roberto Sambuco, capo dipartimento Comunicazioni del Ministero dello Sviluppo Economico, che “hashtagga” #nuovoparadigma #daapprofondire. Il neosenatore Stefano Quintarelli, guru italiano del web, azzarda: “Sarebbe bello se anche Confindustria accogliesse nei suoi codici questo orientamento”.

Il clima è quasi euforico nell’isola felice delle start up del territorio Telecom. Del resto come dice lo slogan di apertura del nuovo Working Capital: “Nothing is a mistake, there’s no win and no fail. There’s only make” (Un pensiero del compositore John Cage: Nulla è un errore, non c'è un vincitore e uno sconfitto. C’è solo il fare). Non è solo un modo di dire: Mizzi spiega a titolo di esempio che ciascuno dei tre incubatori avrà una stampante 3D che permetterà rapidamente di passare dell’idee agli oggetti. “Ma l’innovazione aggiunge non è solo una questione tecnologica”, aggiunge. “Per innovare è necessario cercare e valorizzare i talenti”. Quest’anno Working Capital mette in palio 30 grant (borse di studio) da 25 mila euro ciascuno: c’è tempo fino al 30 settembre per partecipare all’assegnazione con idee d’impresa su Internet, digital life, mobile evolution e green. Ma per trovare spazio in uno dei tre nuovi incubatori c’è meno tempo: la scadenza è il 30 maggio, i posti a disposizione dovrebbero essere una trentina. Certamente le richieste saranno molte di più.

Dal 2009 Working Capital ha asseganto 79 assegni, finanziato 19 imprese e ne ha incubato 36. Ma ha raccolto 4000 business plan. “Non pensavo che avremmo trovato così tante idee”, ammette Patuano. “Non potevamo farle andare avanti tutte. Ma non vogliamo neanche che vadano disperse”. È stata così creata in collaborazione con la Kauffman Foundation, la più grande del mondo per il sostegno alla nuova imprenditoria e all’innovazione, una repository, un vero “deposito digitale” di idee d’impresa aperto agli investitori internazionali. C’è quindi una nuova opportunità (e speranza) per chi ci ha provato negli anni passati. Non ci saranno vittorie e sconfitte, ma i soldi sono necessari per fare. Anche quando c’è talento.

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Giovanni Iozzia

Ho lavorato in quotidiani, settimanali e mensili prevalentemente di area economica. Sono stato direttore di Capital (RcsEditore) dal 2002 al 2005, vicedirettore di Chi dal 2005 al 2009 e condirettore di PanoramaEcomomy, il settimanale economico del gruppo Mondadori, dal 2009 al maggio 2012. Attualmente scrivo su Panorama, panorama.it, Libero e Corriere delle Comunicazioni. E rifletto sulle magnifiche sorti progressive del giornalismo e dell’editoria diffusa.  

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