Telecom Italia diventa spagnola: à Telefónica la maggioranza
Economia

Telecom Italia diventa spagnola: à Telefónica la maggioranza

Una delle società più importanti per lo sviluppo economico italiano diventa spagnola. Senza che il Governo Letta abbia battuto ciglio

Insomma, è chiaro: avere “Italia” nel nome, porta un po' sfiga. Alitalia va ai francesi, che neanche la pagano ma si accollano i suoi debiti, con un po’ di schifo; Telecom Italia va agli spagnoli di Telefònica per quattro soldi, dopo che per sette anni questi stessi spagnoli hanno in tutti i modi boicottato la sua crescita.

L'accordo tra il gruppo iberico e gli azionisti italiani Generali, Mediobanca e Intesa Sanpaolo prevede infatti che Telefònica salirà dal 46% al 65% di Telco, la società che possiede il 22,4% di Telecom Italia. È la maggioranza relativa, ma pur sempre di maggioranza si tratta.

I NUMERI DELL'OPERAZIONE

È probabile che a questo punto Miss Italia, tanto più in quanto delusa dal gran rifiuto de La 7, provi a farsi ribattezzare Miss Enotria e a farsi comprare dall’oligarca azero Telman Ismailov, che dopo il colpo di fulmine per la Bellucci ha fatto capire che apprezza il genere; perfino Oscar Farinetti, pur difeso dalla scelta della lingua inglese, sta valutando se rimarchiare Eataly e chiamarla EatPulcinella; Conserve Italia potrebbe diventare Conserviamoci così; Italiana d’Assicurazioni medita la riconversione in “Compagnia tricolore”; e Rete Imprese Italia si rinominerà Imprese Senza Rete. Intanto, mentre Armani e Della Valle litigano su chi debba e sappia sponsorizzare meglio il Colosseo, finisce che Naguib Sawiris, non pago delle Piramidi, arriva qui e mette il suo marchio sull’Altare della Patria. Siamo allo sbraco.

Catastrofismi e sarcasmi a parte, quel che sta succedendo su Telecom è nient’altro che la conclusione del delitto perfetto progettato a orologeria – più per insipienza e avidità che per calcolo - ai danni di Telecom Italia dapprima dal governo Prodi che la privatizzò disastrosamente nel ’97, sbagliando tutto lo sbagliabile dove l’Ifil degli Agnelli avrebbe dovuto svolgere un ruolo guida cui non s’era mai candidato; e poi da quello D’Alema che la lasciò stuprare da un’Opa a leva architettata da un gruppo di suoi compagnucci – con l’eccezione dell’utile inconsapevole Colaninno che ci credeva e venne per questo buttato fuori - che l’ha sderenata di debiti (100 mila miliardi di vecchie lire) e dalla quale di fatto non s’è più ripresa.

Sia durante l’epopea dell’Opa che in questi ultimi anni, ai comandi c’è sempre stato Franco Bernabè, e non s’è mai capito veramente se, oltre alla tattica onesta ma asfittica di erodere mese dopo mese un po’ di debitucci da una montagna che restava comunque chiaramente inscalabile, avesse o meno una strategia. Certo, non sul futuro padrone dell’azienda.

E così l’infrastruttura forse più importante per lo sviluppo dell’economia futura – la rete in banda larga o quel che ne costituisce il presupposto – finisce in mani straniere. Senza che il governo Letta abbia battuto ciglio, neanche per dire esplicitamente “ok”, pur avendo in Telecom la “golden share”.

Che amarezza. Che amarezza.

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