Telecom Italia, il Governo e la Cdp: come adottare un bambino senza genitori capaci
Economia

Telecom Italia, il Governo e la Cdp: come adottare un bambino senza genitori capaci

Ecco perché c'è bisogno di un intervento dello Stato per mettere al sicuro i servizi della rete

Recentemente la Suprema Corte di Cassazione, con la pronuncia del 10 luglio 2013, numero 17096, ha stabilito quanto segue: "Lo stato di abbandono che giustifica la dichiarazione di adottabilità ricorre allorquando i genitori non sono in grado di assicurare al minore quel minimo di cure materiali, calore affettivo, aiuto psicologico indispensabile per lo sviluppo e la formazione della sua personalità e la situazione non sia dovuta a forza maggiore di carattere transitorio, tale essendo quella inidonea per la sua durata a pregiudicare il corretto sviluppo psico-fisico del minore".

Trasferiamo il principio giuridico dal piano della famiglia a quello dei telefoni: i soci italiani di Telco, Generali, Mediobanca e Intesa, erano – anzi, sono tuttora – in grado di assicurare alla loro controllata Telecom Italia "quel minimo di cure materiali, calore affettivo, aiuto psicologico indispensabile per lo sviluppo"? La domanda è retorica, perchè la risposta è scontata: no.

Ecco perchè per Telecom, tanto per continuare la metafora, si giustifica l'adottabilità, da parte del governo. O comprandosela tutta, se si volesse fare il gesto “forte” che sarebbe almeno in teoria l'unico risolutivo, attraverso la Cassa depositi e prestiti; o almeno per imporre al nuovo socio di riferimento, la spagnola Telefònica, con la moral suasion o con una legge (anche retroattiva, visto che giustamente il viceministro Catricalà ha parlato di “esproprio con indennizzo”) la cessione della rete, che è poi, di Telecom, il “pezzo” la cui manutenzione e crescita è nell'interesse del Paese più che nell'interesse dell'attuale azionista.

Nella sua intervista a Panorama in edicola oggi, l'ex ministro Corrado Passera – che da ex amministratore delegato di Banca Intesa è stato anche azionista di Telecom ed in quel ruolo ha più volte cercato invano (perchè non sostenuto da Mediobanca e Generali) di svegliare la "bella addormentata" dal suo torpore strategico, ha chiarito bene perchè vendere a Telefonica sia stata la "peggiore soluzione possibile": "Le infrastrutture strategiche, come la rete delle telecomunicazioni, devono essere separate dagli utilizzatori, cosa che non si sta facendo nella svendita agli spagnoli. Inoltre queste infrastrutture richiedono grandi investimenti per garantire lo sviluppo dell’attività. Sia Telecom che la controllante Telefònica, oberate di debiti, non saranno in grado di assicurare gli investimenti che ci vorrebbero. Infine ci vuole passione per il Paese e per le sue opportunità. E gli spagnoli, ovviamente, hanno altre priorità".

Diciamo la verità: sante parole, anche se tardive. Ma oggi il punto non è polemizzare "a-posteriori" sui demeriti del microcapitalismo italiano di derivazione mediobancaria, che – tanto - sta friggendo nel suo brodo, per i fatti propri. Oggi il punto è rimettere insieme un minimo di politica industriale per le telecomunicazioni del nostro Paese. E forse qualcosa si sta muovendo, al riguardo.

La fattibilità di uno scorporo in qualche modo "forzato" della rete da Telecom è tornata sulle scrivanie degli uffici di governo competenti, al Ministero dello sviluppo economico, a Palazzo Chigi, e anche all'AgCom. In fondo, il consiglio d'amministrazione di Telecom a luglio lo scorporo l'aveva già deciso, ed era nella pienezza dei poteri. Si tratta di vigilare su due elementi, però: innanzitutto, sul fatto che la decisione non venga revocata; e poi sul fatto che allo scorporo segua la cessione. E su questo punto, Telecom non si era ancora formalmente pronunciata ed anzi nelle dichiarazioni informali i suoi vertici, compreso l'ex presidente Bernabè, avevano detto che la rete non sarebbe stata venduta. Ragione in più pre prepararsi ad imporglielo.

Ma non basta: siccome in Italia si tende a trasformare in definitivo tutto ciò che nasce come provvisorio, sarà bene vigilare affinchè i tempi di attuazione dello scorporo societario non siano tanto lunghi dal condurre poi di fatto l'operazione nelle sabbie mobili. Due anni, erano stati pronosticati da Telecom: un temine biblico, inverosimile. Certo, è un'operazione complessa: ma, intanto che la si perfeziona, è possibile comunque separare la gestione dell'attività sulla rete e il controllo sul business di rete dagli ordinari organi di governo del gruppo, per iniziare a far avverare gli effetti dello scorporo anche nel contesto ancora integro del gruppo.
Ci sarà la necessaria volontà politica? Proprio al viceministro Catricalà si deve la stima di “un punto e mezzo di Pil” come effetto virtuoso del completamento di una vera rete a banda larga in fibra ottica nel nostro Paese. E Catricalà è troppo esperto per non sapere che due gorilla nella nebbia, sovraccarichi di debiti, come Telefonica e Telecom, oltre che sbilanciati nel business verso il Sud America, non riusciranno mai ad investire in Italia quanto sarebbe necessario. Può l'Italia rinunciare a un punto e mezzo di Pil per i begli occhi di tre genitori inadeguati, come sono stati per Telecom Generali, Mediobanca e Banca Intesa?

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