Spesa pubblica: manca il coraggio politico di tagliare
Economia

Spesa pubblica: manca il coraggio politico di tagliare

Basterebbe una massaia

Ormai è evidente: si cambiano i governi, si cambiano i ministri economici, ma le politiche economiche sono sempre uguali, anzi sempre più recessive. Ogni governo annuncia il taglio della spesa pubblica: costi della politica, costi di province, regioni e comuni (l’Italia è l’unico Paese che copre a piè di lista i colossali e immancabili buchi di bilancio locali), costi delle amministrazioni pubbliche, costi di uno stato sociale iniquo... Non si riesce mai a tagliare un singolo euro. Le riforme strutturali poi ormai sono diventate una leggenda. E allora come si fa a coprire una spesa che non diminuisce (anzi aumenta)? Si aumentano le tasse. E quali? Quelle su spese e beni inelastici: casa, Iva.

Giulio Tremonti aveva introdotto l’Imu (che sostituiva l’Ici), Monti-Grilli l’avevano aumentata (portandone il gettito vicino a quello di Francia, Germania e Regno Unito), Fabrizio Saccomanni introduce nuove tasse sulla casa portandone quindi il gettito al di sopra di quello dei principali paesi europei (la Corte dei conti stima un gettito più elevato rispetto all’Imu di Monti). Va poi sottolineato che è sbagliato equiparare il gettito delle tasse sulla casa in Italia a quello di stati come Germania o Regno Unito: questi sono paesi dove la capacità contributiva è molto più alta perché i salari medi sono superiori a quelli italiani. Le tasse in Italia stanno invece aumentando drammaticamente la soglia di povertà. In Italia poi si insiste nel voler assegnare all’imposta sulla casa la progressività che è normalmente dell’imposta sul reddito, che in Germania e Francia è infatti molto più progressiva.

Insomma, per non fare una vera riforma fiscale si fanno male degli aggiustamenti estemporanei. La desolante constatazione è che le politiche economiche non cambiano e diventano più recessive. Perché scomodarsi a cambiare governo o ministro, basta mettere il pilota automatico.

Un altro interessante fatto ricorrente è la consuetudine dei governi-ministri tecnici ad appaltare ad altri tecnici la spending review: il governo Monti l’aveva affidata a Enrico Bondi, Giuliano Amato a Francesco Giavazzi, il governo Letta ha addirittura reimportato in Italia gli esperti del Fondo monetario internazionale (Carlo Cottarelli). Non c’è dubbio: economisti eccellenti. Ma perché scomodarli? Tanto nessuno riesce a tagliare le spese in Italia. Non è un problema di capire come si fa, il problema è di avere governi con il coraggio politico di farlo. Se si ha quello, forse è sufficiente una massaia.

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Ester Faia

Nata nel 1973, laurea in Economia alla Bocconi e Ph.D. alla New York University, Ester Faia ha ricoperto diversi incarichi accademici e presso organismi internazionali. È professore ordinario alla Goethe University of Francoforte, senior fellow del Center for Financial Studies e research professor al Kiel Institute. È autrice di numerose pubblicazioni in qualificate riviste accademiche internazionali. Ha svolto incarichi per diverse banche centrali, centri di ricerca (tra i quali il CEPREMAP di Parigi e il Globalization Center della Dallas Fed) e università straniere. Ha ricevuto prestigiosi premi da istituzioni come l'Unione Europea, la Banca centrale europea e la Fondazione tedesca della ricerca. È consigliere di Buzzi Unicem dal 2012.

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