Così lo Stato spreca 30 miliardi
Economia

Così lo Stato spreca 30 miliardi

Per comprare una scrivania le amministrazioni pubbliche dovrebbero, per legge, pagare 282 euro. Invece molti enti scelgono di acquistarne una simile, che però costa quasi il triplo. Un comportamento che, moltiplicato per migliaia di beni, fa gonfiare enormemente la spesa statale.

di Gustavo Piga*

Un uomo solo al comando. Speriamo proprio di no. Carlo Cottarelli, economista esperto e persona dura ma pragmatica, ha accettato una sfida ben più ambiziosa di quella che gli hanno posto sinora i paesi emergenti, di cui doveva esaminare i conti pubblici e stabilire se meritavano o meno i finanziamenti del Fondo monetario internazionale, dove ha lavorato per una vita, con incarichi sempre più importanti: essere il capo della spending review italiana, con il compito di razionalizzare la nostra spesa pubblica senza farci cadere ulteriormente in recessione.

Perché funziona proprio così: se trovi lo spreco e lo abbatti, non causi dolore all’economia e all’occupazione. Ma se tagli a casaccio, come è stato sinora, allora sì che sono guai. Un esempio potrà bastare per comprendere questa semplice logica che spesso sfugge a chi chiede di «tagliare tagliare tagliare», senza specificare come, la presenza dello Stato nell’economia. Immaginate due amministrazioni, A e B, che spendono in totale 60 mila euro per comprare due ambulanze, identiche, utili ambedue per il Paese. Tuttavia una, (A), l’acquista a 20 mila euro e l’altra, (B), l’acquista a 40 mila. Essere così bravi da individuare lo spreco insito nei 40 mila euro e obbligare B a comprare a 20 mila riduce la spesa di 20 mila euro senza ridurre l’assistenza sanitaria sul territorio e senza creare più disoccupazione tra i lavoratori che producono ambulanze: sempre due ambulanze si acquistano. Anzi, si avranno a disposizione 20 mila euro con cui potremo comprare la terza ambulanza, se necessaria, o diminuire le tasse sui cittadini. Insomma, tagliare gli sprechi non è recessivo ma, al contrario, espansivo. Quello che viene a essere tagliato è un mero trasferimento che con lo spreco portava risorse dei contribuenti a imprenditori (e funzionari pubblici?) che si arricchivano indebitamente o più del necessario.

Vero è che se le nostre due amministrazioni erano brave e compravano già le due ambulanze a 20 mila ognuna, senza sprechi, il taglio a casaccio di 20 mila incide, eccome: si potrà comprare solo un’ambulanza, con minori servizi sul territorio, più disoccupazione nel settore delle ambulanze e un aggravamento della recessione con cui conviviamo da due anni. Ecco la sfida che aspetta Cottarelli: non buttare il bambino con l’acqua sporca, evitare di ridurre la spesa in modo sbagliato inviluppandoci in una instabilità sociale che rischia di far saltare il banco.

Ma esistono questi sprechi? In abbondanza. Uno studio di tre economisti italiani, Oriana Bandiera, Andrea Prat e Tommaso Valletti, pubblicato sulla American economic review, una delle riviste scientifiche più prestigiose al mondo, ha dimostrato, sulla base di tutti gli appalti fatti in beni e servizi in Italia a metà del trascorso decennio, come, se tutte le amministrazioni comprassero lo stesso bene allo stesso prezzo, potremmo ridurre la spesa del 2 per cento circa del pil, 30 miliardi di euro, senza ridurre la qualità dell’azione pubblica e senza ridurre l’occupazione nelle aziende che vendono alla pubblica amministrazione. Trenta miliardi non sono noccioline (a cui andrebbero aggiunti gli sprechi sui lavori pubblici e quelli non solo di prezzo ma di quantità di beni inutili comprati).

Sul sito del ministero dell’Economia potrete trovare una serie incredibile di dati che confermano l’esistenza di questi sprechi, la cui eliminazione è dunque a portata di mano. Cominciamo dalle scrivanie direzionali? Perché no. Le amministrazioni centrali sono obbligate ad acquistarle dalla Consip, la società delegata a tali acquisti, dove potevano trovarle a 282,71 euro. Eppure molte di queste invece le hanno acquistate per conto loro, contravvenendo al disposto normativo, a un prezzo medio di 723,63 euro. Le amministrazioni locali, libere di acquisirle in proprio ma obbligate ad avere come riferimento il prezzo Consip, le hanno comprate a «solo» 470,03 euro. Come è stato possibile evadere le prescrizioni normative? Semplice: in assenza del gatto (i controlli), i topi ballano. Personal computer? Prezzo Consip 483 euro, ma qualcuno che avrà preferito una marca diversa ci deve pur essere stato, visto che il prezzo medio per le amministrazioni è stato di 629 euro. E così via.

Come farà Carlo Cottarelli a entrare in questa giungla di sprechi e uscirne ancora vivo e vincitore? Domanda tanto più rilevante dato che il suo predecessore, Enrico Bondi, non l’ultimo arrivato quanto a capacità di tagliare, ha miseramente fallito durante il mandato ricevuto dal governo Monti. La risposta è sì semplice, ma articolata. Prima di tutto dovrà avere un mandato forte ed esplicito dal presidente del Consiglio Enrico Letta. Che lo difenda e lo sostenga in ogni dove, internamente e con appropriata comunicazione esterna. Certo non aiuta che Letta non abbia nemmeno menzionato la spending review nel suo discorso di investitura alle Camere, ma la nomina di Cottarelli potrebbe essere un segnale di ravvedimento. Un sostegno interno non può che passare per l’attribuzione a Cottarelli di una gigantesca squadra di esperti (un centinaio?) che lo sostengano nelle ispezioni a campione che da subito dovrà mettere in atto sul territorio, se vuol far sentire alle amministrazioni pubbliche il sentore che la musica è cambiata. Non tanto giuristi dunque, ma persone esperte di audit e controlli, merceologici raffinati e ingegneri competenti. E poi il sostegno totale degli uomini e donne della Guardia di finanza, della Consip stessa, dell’Autorità anticorruzione, dell’Antitrust.

Saprà Letta mobilitarsi in questa direzione? Il buongiorno si vede dal mattino e sapremo presto: basterà vedere quanti spazi riserveranno a Cottarelli a via Venti Settembre nella sede del ministero. E dove risiederà. Già, perché si dice che Bondi avesse chiesto una stanza presso il piano nel ministero dove è localizzata l’istituzione che detiene l’elemento fondamentale per qualsiasi tipo di controllo, ovvero il dato: stiamo parlando della Ragioneria generale dello Stato. Eppure Bondi quella stanza contigua non l’ha mai avuta, segno di un rapporto di totale chiusura fra l’amministrazione del Tesoro e il capo della spending review. Problema che non dovrebbe più sussistere ora con il nuovo ragioniere generale dello Stato, Daniele Franco, amico e collega di Cottarelli da tanti anni. È proprio dalla Ragioneria che potrebbe venire il più formidabile supporto informativo. Ma comunque non sarebbe mai sufficiente: nemmeno alla Ragioneria hanno una banca dati che in tempo reale dica al primo ministro chi compra cosa, quando e come, vero incomprensibile scandalo a cui nessuno sembra voler rimediare, e in assenza della quale siamo destinati a chiudere le porte della stalla quando i buoi sono già scappati, come è sempre avvenuto sinora. Riuscirà Cottarelli a ottenere un minifinanziamento per avere per qualche milione quella piattaforma informatica dove centralizzare tutte le gare delle singole stazioni appaltanti italiane e che genererebbe miliardi di risparmi? Perché è di questo che si tratta: non centralizzare le gare, fenomeno che uccide le piccole e medie imprese, ma centralizzare il dato, così che appena una scrivania direzionale verrà offerta a 700 euro l’affare verrà bloccato.

Semplice, no? No, non è semplice. Richiede uno sforzo organizzativo notevole e, val la pena ripeterlo, tutta la forza di volontà dell’esecutivo a sostegno. Un uomo solo non potrà mai farcela. Una squadra di intoccabili come quelli che sconfissero Al Capone nemmeno. Ma un leader intelligente sì.

* professore di economia politica all’Università Tor Vergata di Roma, ex presidente Consip.

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