La spesa pubblica e i tagli dimenticati
Economia

La spesa pubblica e i tagli dimenticati

Con l’insediamento del nuovo commissario alla spending review continua la pantomima dei risparmi sulla spesa pubblica. Come testimonia questa indagine

Il grande giorno è arrivato, insieme con tante speranze. Da mercoledì 23 ottobre Carlo Cottarelli è ufficialmente il commissario straordinario per la spending review e chissà se si rende davvero conto di quante aspettative gravino su di lui. Deve «solo» riuscire in ciò che altri hanno fallito: eliminare sprechi, ridare efficienza e quindi recuperare miliardi di euro dalla spesa pubblica, determinanti «per ridurre il debito, fare investimenti e ridurre le tasse» come sintetizza il ministro per lo Sviluppo economico, Flavio Zanonato. L’obiettivo minimo di Cottarelli, 59 anni, già direttore del dipartimento per gli affari fiscali del Fondo monetario internazionale, è di 1 miliardo nel 2015 e 1,2 miliardi nel 2016, e dovrà indicarne le modalità entro l’ottobre 2014.

Cifre inferiori a quelle di cui ufficiosamente si era parlato. Invece, pur nella complessità del compito, sarebbe necessario dare un segnale con colpi di mannaia il più presto possibile. Come Panorama ha già ricordato nel numero 43, su oltre 807 miliardi di spesa pubblica la quota definita aggredibile supera i 295 miliardi, di cui 80 in tempi relativamente brevi. Inoltre, è stato lo stesso ministro della Pubblica amministrazione, Gianpiero D’Alia, a ricordare che le consulenze costano ancora 1,3 miliardi l’anno. Cottarelli può fare ciò che vuole: intervenire su centro, periferia e società controllate da amministrazioni pubbliche. Un aiuto importante può arrivargli dalla Consip, la società del ministero dell’Economia che si occupa di razionalizzare gli acquisti di beni e servizi.

L’amministratore delegato, Domenico Casalino, ha detto il 21 ottobre che la Consip ha consentito 6,15 miliardi di risparmi nel 2012 «e questo risultato sarà superato abbondantemente nel 2013». Inoltre, secondo il rapporto 2013 della Corte dei conti sulla finanza pubblica, le spese per gli organi istituzionali di regioni, province e comuni sono calate da 1,7 miliardi del 2010 a 1,5 del 2012, con un importo pro capite sceso in media da 28 a 25 euro, ma con punte di 35 euro per gli enti meridionali e di 19 per quelli centrali. Anche qui si può fare molto di più. Con Cottarelli, però, dovranno davvero collaborare le principali strutture dello Stato, a cominciare dalla Ragioneria generale, il cui scopo istituzionale è «garantire la corretta programmazione e la rigorosa gestione delle risorse pubbliche». Se il commissario sbatterà contro la burocrazia, avrà vita dura

E l’abolizione delle province? Al lavoro di Cottarelli dovrebbe aggiungersi quello altrettanto decisivo del Parlamento. Nella commissione Affari costituzionali della Camera è cominciata la discussione del disegno di legge su città metropolitane, province e unioni di comuni. L’obiettivo è di arrivare al voto in aula a metà novembre, in modo da consentire dal prossimo anno l’elezione dei nuovi consigli provinciali, composti dai sindaci dei comuni della provincia con più di 15 mila abitanti e dai presidenti delle unioni di comuni oltre i 10 mila. Questo disegno di legge propone di fatto una disciplina transitoria anticipando quello costituzionale già incardinato nella stessa commissione di Montecitorio, con tempi più lunghi considerando la doppia lettura di Camera e Senato, che dovrà disegnare il nuovo assetto degli enti locali con la scomparsa o la diminuzione delle province attuali.
Gli amministratori provinciali nel 2011 sono costati solo 11 milioni di euro. Ma secondo la Corte dei conti i risparmi andrebbero dal 5 per cento, nel caso di accorpamento a 51 province, al 10 per cento, nell’ipotesi di abolizione totale, e nel complesso i risparmi stimati supererebbero di poco i 750 milioni.

Enti inutili, anzi impropri. C’è poi un vecchio cavallo di battaglia e anche qui Cottarelli potrebbe divertirsi. Adesso li chiamano «impropri» gli enti comunemente definiti «inutili», termine non sempre corretto, ma certamente di facile comprensione. Il Consiglio dei ministri del 26 luglio aveva annunciato l’inserimento nel disegno di legge su città metropolitane e province anche dell’analisi dei circa 5 mila enti statali, regionali, locali, e di «determinare la cancellazione degli enti “impropri” le cui funzioni possono trovare più razionale allocazione portando a compimento il percorso avviato dal governo precedente». Al netto delle parole burocratiche, significa che volevano riprovarci. Poi però si scopre che nel testo sulle province in discussione alla Camera non c’è traccia degli enti da sopprimere. Forse perché avrebbero rallentato i lavori? Comunque sia, Cottarelli si sbrighi.

Se i lettori fossero stanchi del solito romanzo, potrebbero scegliere un accuratissimo dossier 2013 del Servizio per il controllo parlamentare della Camera, 132 pagine che raccontano la storia d’Italia. Nel senso che spiegano come sia stato impossibile tagliare, accorpare, risparmiare in materia di enti di tutti i tipi. Perché, fatta una legge, quasi mai venivano completati i passaggi successivi finché si ricominciava da capo. Si è realizzato pochissimo: fino al 2012 sono stati soppressi 41 enti pubblici non economici statali e istituiti cinque nuovi enti. Panorama ha selezionato esempi già individuati in passato e i più curiosi: un accenno veloce al mondo sotterraneo in cui Cottarelli potrà scavare a piacere.

Gli enti di ricerca sono un settore interessante per capire come vanno le cose. La Corte dei conti ha depositato a luglio la relazione sugli esercizi 2010 e 2011 dell’Istituto di studi germanici, creato nel 1931 per promuovere studi scientifici e scambi culturali «sulla vita spirituale, sociale ed economica dei popoli germanici», Irlanda e Norvegia comprese. Un ente di ricerca senza ricercatori tra i cinque dipendenti, tanto da dover assumere un co.co.co. e il direttore amministrativo. L’istituto ha tre consiglieri di amministrazione, un consiglio scientifico di cinque persone e tre revisori dei conti. Lo stipendio del cda nel 2011 è stato di 22.655 euro lordi e quello dei revisori di 6.498 complessivamente: eliminarli non salva le casse dello Stato, ma è una goccia da aggiungere a molte altre. Anche perché, sottolinea la Corte, i revisori hanno rilevato scarsa programmazione, spese di rappresentanza non giustificate, acquisto di servizi senza le procedure previste, inventario dei beni non aggiornato. Ce n’è quanto basta. Infatti, l’allora ministro Piero Giarda nel 2012 tentò di accorparlo al Cnr con l’Istituto di ricerca metrologica, la Stazione zoologica Dhorn e l’Istituto di alta matematica, mentre altri enti di ricerca vigilati dal ministero dell’Istruzione sarebbero finiti all’Istituto di fisica nucleare o a quello di geofisica e vulcanologia. Non se ne fece niente: il disegno di legge è rimasto nel cassetto, mentre consentirebbe di risparmiare alcune centinaia di migliaia di euro l’anno.

Anche i giganti dovrebbero dimagrire. Il Consiglio nazionale delle ricerche in meno di 15 anni ha cambiato sei volte presidente e cinque volte modello organizzativo, senza che la sua struttura venisse intaccata più di tanto: 11 dipartimenti e oltre un centinaio di istituti, ciascuno con un direttivo, una sede autonoma e un capitolato di spesa. Fino al 2010, secondo i magistrati contabili, quasi il 70 per cento del budget del Cnr è stato destinato ad affitti, manutenzione della sede romana e stipendi. Ammonta invece a meno del 30 per cento dei fondi, ben pochi dei quali, contrariamente a quanto accade ai suoi omologhi esteri, arrivano dalla «messa a reddito» dei propri brevetti e competenze, la quota che arriva ai progetti di ricerca.

Fare economia non dovrebbe essere difficile, ma non è così in un ente dove le razionalizzazioni sono decise da una consulta formata dagli stessi dirigenti (che dunque dovrebbero autoeliminarsi o autoriformare i loro uffici) e dove l’adozione di un meccanismo di valutazione dei risultati conseguiti, decisa nel 2011, scatterà solo nel 2017. Basta un piccolo esempio. Il foglietto della ricerca, settimanale online del sindacato lavoratori della ricerca, segnala che un anno fa a Mangone (Cosenza) la società proprietaria dei locali offrì all’Istituto di scienze neurologiche del Cnr una riduzione del 40 per cento sull’affitto: 480 mila euro annui anziché 800 mila, molto al di sopra del 15 per cento imposto dai tagli del governo Monti. Pare che nessuno abbia protocollato la lettera dell’agenzia immobiliare, che quindi non ha avuto risposta.Nel caso dell’Istituto per le telecomunicazioni e l’elettronica della Marina militare, invece, ci sarebbe l’imbarazzo della scelta: fusione con l’Insean o l’Ismar, enti già nel Cnr, o trasloco in un edificio ristrutturato e inutilizzato.

Il ginepraio di leggi sulla normativa taglia enti ha come iniziale punto di riferimento una legge del 1978 sulle nomine governative e il relativo controllo parlamentare, ma la prima volta che si è tentato di disboscare risale alla legge finanziaria per il 2002: la delega al governo non fu però esercitata e lo stesso avvenne all’indomani delle finanziarie 2003, 2007 e 2008. Dopo responsabilità bipartisan dei governi Berlusconi e Prodi, «ghigliottina generalizzata» e «ghigliottina specifica», 29 schemi di regolamento di riordino comprendenti 96 enti, «riduzione del perimetro della pubblica amministrazione», si arriva stremati al 2012 con il risultato, secondo il dossier, della soppressione di 41 enti pubblici non economici statali e dell’istituzione di cinque nuovi. Totale: 413 poltrone abolite e 29 istituite.

Quanto si risparmia? Anche qui un conto sono le leggi, un altro i fatti. È in vigore una norma per cui l’obiettivo di risparmio è di 415 milioni di euro l’anno dal 2009 in poi. Peccato, però, che non sia mai stato adottato il decreto del ministero dell’Economia, di concerto con quello per la Pubblica amministrazione, che avrebbe dovuto assegnare a ciascuna amministrazione gli obiettivi di risparmio. Quindi quella norma è inutile.

Come ci si può stupire, dunque, se l’Eipli, Ente per lo sviluppo dell’irrigazione e la trasformazione fondiaria in Puglia, Lucania e Irpinia, sia commissariato da 34 anni, di cui 16 finalizzati alla soppressione dell’ente stesso? Basti dire che il 3 agosto 2011, poco prima che fosse di nuovo posto in liquidazione, su proposta del ministero delle Infrastrutture l’ente è stato individuato dal Cipe come «nuovo soggetto aggiudicatore dei lavori pubblici». La data di fine lavori è fissata nel 2016 mentre l’ennesima proroga al liquidatore scade il 30 settembre 2014. Nel frattempo, rileva la Corte dei conti, «dal 2002 è attiva Acqua spa, società a capitale pubblico cui sono state formalmente, ma ancora non effettivamente, trasferite le funzioni del soppresso Eipli».

Succede anche che il legislatore cambi idea in pochi giorni. È il caso del Consorzio nazionale per i grandi laghi prealpini: nel decreto salva Italia del 6 dicembre 2011 ne era prevista la nascita per sostituire i consorzi Ticino, Oglio e Adda che tengono sotto controllo i laghi Maggiore, d’Iseo e di Como. Appena 23 giorni dopo il decreto milleproroghe del 29 dicembre lo ha soppresso. A Panorama il direttore del consorzio Ticino, Doriana Bellani, ricorda che gli stipendi dei pochi dipendenti (i consorzi ne hanno da sei a otto) sono pagati dagli utenti e non dallo Stato e che con l’accorpamento sarebbero aumentati i costi di gestione. Sarà, ma è comunque prevista la modifica degli organi amministrativi e di controllo.

Morto e rinato anche l’Indire, Istituto nazionale documentazione, innovazione, ricerca educativa: soppresso nel taglia-spese del 2011, risorto a settembre 2012. Una vicenda quantomeno incresciosa è quella dell’Ages, l’agenzia per la gestione dell’albo dei segretari comunali e provinciali. Era un mondo ricchissimo. Tre sedi di proprietà (a Roma, Torino e Milano), oltre 160 consiglieri con rimborso spese per un totale, nel 2010, di circa 2 milioni. L’agenzia è stata soppressa quell’anno annettendola al ministero dell’Interno, ma la storia è tutt’altro che finita per due motivi: i soliti tempi biblici per i decreti attuativi e la Sspal, Scuola superiore per la formazione e la specializzazione dei dirigenti della pubblica amministrazione locale, legata all’Ages e che in dotazione ha portato al Viminale un edificio in pessime condizioni a Fara Sabina, nel Reatino, costato 6 milioni e ritrovo abituale di rave party fino a tre anni fa. La Sspal, ufficialmente finita nell’ottobre 2012, era un doppione costoso della Scuola superio- re per l’amministrazione dell’interno: dagli 8,3 milioni del 2010 si era scesi a circa 7 nel 2011 con l’arrivo dell’unità di missione del Viminale. Ma, nonostante la fine stabilita nell’ottobre 2012, manca un decreto del presidente del Consiglio che doveva arrivare a marzo. Dal 1° gennaio 2013 le rimanenze di cassa, una quarantina di milioni, fanno parte del bilancio dello Stato. Forse. Infatti 25 milioni sono vincolati perché da restituire ai comuni virtuosi. Quali comuni? E in base a quali criteri? Con che tempi? Non si sa.

Molti mancati risparmi dipendono dalle «autorità vigilanti», presidenza del Consiglio e ministeri. Indicativa è la delibera della magistratura contabile del marzo 2012 sulla soppressione di sette enti, dall’Ages all’Ente teatrale italiano, all’Ente italiano montagna. La Corte lamenta «importanti rallentamenti nel processo attuativo, pregiudizievoli della riduzione della spesa», «inadeguato utilizzo del personale degli enti cessati», lentezze nel trasferimento delle risorse finanziarie e così via. Negli ultimi 12 mesi qualcosa si è mosso anche se, nel caso dell’Ages, la Corte fa esplicito riferimento a quell’edificio di Fara Sabina chiedendo al Viminale di agire «scongiurandone l’ulteriore degrado ed evitando maggiori spese». Perché un altro rave party in un palazzo del ministero dell’Interno sarebbe il colmo. Anzi, decisamente «improprio».

(hanno collaborato Gianluca Ferraris, Gabriele Madala, Laura Maragnani, Maria Pirro)

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