Start-up: 12 italiani alla conquista degli Stati Uniti
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Economia

Start-up: 12 italiani alla conquista degli Stati Uniti

Medicina, tecnologia, ambiente, social: come trasformare un’idea in una storia di successo. Grazie a un soggiorno in America totalmente finanziato dal programma Best

Quasi tutti hanno meno di trent’anni, arrivano da molti angoli d’Italia e a fine agosto saliranno su un aereo: destinazione San Francisco, in testa un progetto e la voglia di trasformarlo in un caso di successo. Ma questa non è una fuga di cervelli, è un’altra storia. Con un’andata e un ritorno. Con 12 protagonisti che frequenteranno corsi d’imprenditoria alla Santa Clara University e seminari in templi del sapere come Stanford e Berkeley; conosceranno investitori e possibili partner, si faranno le ossa in aziende della Bay Area. Poi, ad aprile, con le spalle più robuste, rientreranno a casa e per sei mesi saranno aiutati a realizzare la loro idea.

Sono i vincitori del programma Best (Business exchange and student training, www.bestprogram.it ), le borse di studio di 35 mila euro l’una finanziate dal Dipartimento di Stato Usa attraverso l’Ambasciata in Italia: in stile Silicon Valley contaminano la teoria con ampie dosi di senso pratico. E ne raccolgono i frutti: i 60 premiati nelle edizioni precedenti, spesso unendo le forze, hanno dato vita a 26 start-up, raccolto finanziamenti per 38 milioni di euro, creato 320 posti di lavoro. "Succede quando ai giovani si danno occasioni reali" commenta Fernando Napolitano, presidente del comitato esecutivo di Best e fondatore di "IB&II" (Italian Business & Investment Initiative), organizzazione indipendente con sede a New York che favorisce momenti d’incontro tra imprenditori d’Oltreoceano e promettenti aziende tricolori nei quali investe anche direttamente. Il prossimo appuntamento è nella Grande mela a inizio novembre: "Un ente locale non avrà mai la stessa attenzione di un privato che prende i soldi dal suo conto corrente e li affida a un gruppo di ragazzi" aggiunge Napolitano. "Lo Stato sta trasformando le start-up in ammortizzatore sociale. Bisogna concentrarsi sulle opzioni di uscita, sulla monetizzazione dell’investimento: solo così si avvia un ciclo, si genera ricchezza. Israele docet".

Il settore pubblico resta decisivo nel processo di formazione. E ha i mezzi per alimentarlo: può attingere al fondo sociale europeo per l’imprenditoria, spesso inutilizzato, e potrebbe finanziare iniziative come Best. È una strada già percorsa da Campania, Puglia, Veneto e altri: "Non servono gare, la borsa è assegnata con la Fulbright Commission, agenzia governativa che favorisce gli scambi culturali tra Italia e Stati Uniti. Il presidente della regione deve solo mettere una firma" sottolinea Napolitano. Che per il prossimo bando, tra novembre e dicembre, mira a moltiplicare i posti disponibili, da 12 a 300. Nel progetto ricopre un ruolo fondamentale Invitalia, l’agenzia governativa per l’attrazione degli investimenti. Afferma l’ad Domenico Arcuri: "Abbiamo creduto in questa iniziativa perché coniuga la possibilità di dare corpo a un’idea di successo con la necessaria internazionalizzazione ormai imprescindibile per dare modo ai talenti di imporsi".

Il programma può contare sull’appoggio dell’emittente radiofonica Rds, che ha sponsorizzato una borsa di studio tramite il suo Startup Lab rivolto a under 35 con idee nel mondo dell’intrattenimento. "Le radio libere, di cui sono uno dei 4 mila precursori in Italia" osserva Eduardo Montefusco, presidente Rds, "sono state una palestra per i giovani imprenditori di allora. Un’esperienza che ha molto in comune con le start-up". Imprese capaci di rispondere alle nuove domande del mercato: "Le grandi aziende sono concentrate sui margini, sui profitti. Sono propense ad acquistare innovazioni all’esterno. Lo confermano le ultime manovre di Google" ricorda Napolitano. Che cita spesso la lezione della Silicon Valley, le opportunità che arrivano dall’altra sponda dell’oceano, ma le vede come un corollario di un’esperienza più ampia. Con il fulcro nel potenziale dell’Italia: "Se non possiamo fare a casa nostra il lavoro che vogliamo fare, è una grandissima limitazione della nostra libertà" dice. E che non sia solo una formula a effetto, lo dimostrano i volti e le idee di queste pagine.

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Marco Morello

Mi occupo di tecnologia, nuovi media, viaggi, società e tendenze con qualche incursione negli spettacoli, nello sport e nell'attualità per Panorama e Panorama.it. In passato ho collaborato con il Corriere della Sera, il Giornale, Affari&Finanza di Repubblica, Il Sole 24 Ore, Corriere dello Sport, Economy, Icon, Flair, First e Lettera43. Ho pubblicato due libri: Io ti fotto e Contro i notai.

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