Spending review: non è questa la strada giusta
Economia

Spending review: non è questa la strada giusta

Per l'economista Massimo Lo Cicero il provvedimento del Governo non incide sui costi strutturali dello Stato. E finisce per accrescere il carico fiscale

Stravagante. Ma anche preoccupante. Massimo Lo Cicero, economista attento alla comunicazione (insegna alla Sapienza di Roma e ha appena lanciato il blog collettivo finanzaecomunicazione.it), definisce così il provvedimento del Governo approvato in Senato e in discussione alla Camera che va sotto il nome di spending review.

"Ma è solo un nome", attacca Lo Cicero.

Perché, professore?

Perché, come dicono i sindacati e anche alcuni esponenti della maggioranza, questa è semplicemente una manovra. Tagli lineari, direbbe il buon Tremonti. Anzi, dico io, questo il classico decretone d’agosto di Rumor, Colombo e Moro. Roba da anni Settanta.

Non le sembra di essere un po’ troppo severo?

Io guardo a quello che è stato comunicato finora. La spending review avrebbe dovuto portare a un miglioramento della qualità della spesa, no? Avrebbe dovuto essere la ricognizione necessaria per capire come incidere sui costi della pubblica amministrazione senza intaccare la qualità dei servizi erogati ai cittadini e, soprattutto, senza aumentare il carico fiscale.

E invece?

Abbiamo un risultato che non corrisponde a quanto promesso e annunciato. Siamo tornati indietro di tre mesi.  Mi auguro di poter cambiare idea quando potremo leggere il provvedimento nella sua intierezza. Trovo questa situazione davvero stravagante.

Dove stanno le principali stravaganze?

I tagli avrebbero dovuto servirebbe a ridurre le tasse. E invece aumentano quelle universitarie per i fuoricorso. E poi che cos’è la libertà data alla Regioni in deficit di aumentare l’aliquota Irpef se non il preannuncio di una nuova tassa? Mi surreale...

Ma ci sono i tagli per i ministeri, professore?

Ma come verranno fatti? Nessuno ha detto se saranno ridotte le direzioni o l’uso della carta. Per il momento è il solito approccio contabile di una manovra congiunturale e non strutturale.

Il governo però ha così evitato l’aumento dell’Iva previsto per l’autunno…

Certo, ma scaricando altri costi sul sistema. Ripeto, dalle tasse universitarie all’Irpef regionale. Così non si dà vera capacità di spesa alla gente. Mi dispiace: l’idea della spending review è davvero riformista, ma deve essere sviluppata in positivo. Non tagliando qui e la.

Il commissario Enrico Bondi ha detto che la vera resa dei conti ci sarà a settembre con la definizione dei costi standard.

Bene. Ma insisto, questo modo di comunicare l’azione di governo è singolare. Prima si crea attesa, poi si interviene parzialmente dicendo che si farà meglio la prossima volta. E’ un modo di procedere controproducente. E sa da cosa si vede?

Da cosa, professore?

Dalle prime pagine dei giornali di oggi. I grandi quotidiani non hanno in prima pagina la notizia dell’approvazione della cosiddetta spending review in prima pagina. Perché non è percepita come un passaggio importante, strutturale. Non è l’inizio della vera riorganizzazione della spesa pubblica.

Forse il tempo a disposizione non permetteva di fare meglio.

Vero. Ma allora meglio rinunciare alla retorica sulla trasformazione della spesa dello Stato e concentrarsi su cose fattibili. Come la vendita dei beni pubblici. E rinviare la grande riforma a un nuovo governo con maggiore tempo a disposizione e una più forte investitura politica.

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Giovanni Iozzia

Ho lavorato in quotidiani, settimanali e mensili prevalentemente di area economica. Sono stato direttore di Capital (RcsEditore) dal 2002 al 2005, vicedirettore di Chi dal 2005 al 2009 e condirettore di PanoramaEcomomy, il settimanale economico del gruppo Mondadori, dal 2009 al maggio 2012. Attualmente scrivo su Panorama, panorama.it, Libero e Corriere delle Comunicazioni. E rifletto sulle magnifiche sorti progressive del giornalismo e dell’editoria diffusa.  

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