Guerra in Siria: le dieci aziende che potrebbero guadagnarci
Economia

Guerra in Siria: le dieci aziende che potrebbero guadagnarci

Sette sono americane, tre europee: grazie all'aumento della spesa militare hanno raggiunto un giro d'affari di oltre 200 miliardi di dollari

Il blitz di USA e Gran Bretagna in Siria deve ancora scattare, dopo la marcia indietro di Cameron e Obama fatta ieri in seguito alla pressione del segretario generale dell'Onu Ban Ki -moon.

Eppure già si contano i primi danni, almeno sui mercati finanziari. Le borse hanno passato le ultime giornate all'insegna della volatilità, anche se ieri le principali piazze sembrano aver buttato dietro le spalle i timori di una nuova guerra: Parigi, Londra, Madrid e Milano hanno chiuse tutte in positivo.

A preoccupare i consumatori, c'è (per ora) solo il prezzo del greggio che è salito a 115 dollari e che secondo gli analisti potrebbe toccare quota 150 dollari al barile in caso di conflitto.

Tuttavia non tutti i settori vedono i negativo l'escalation militare in Medio Oriente: il business della guerra, infatti, rende molto. E non è certo una novità. Soprattutto per chi produce armi o eroga servizi agli eserciti.

Nel solo 2011, per esempio, secondo una classifica compilata dallo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri) , i ricavi delle prime 100 società si sono attestati a circa 410 miliardi di dollari, la metà dei quali registrati solo dalle prime dieci realtà del settore.

Si tratta di colossi mondiali che hanno beneficiato della crescita della spesa militare negli Stati Uniti, passata in undici anni da 310 a ben 712 miliardi di dollari messi a bilancio da Washington nel 2011.

Nella top ten, come riporta il sito americano di analisi e commenti finanziari 24/7 Wall St, che ha analizzato in dettaglio lo studio del Sipri, figurano nove società estere e l'italiana Finmeccanica , la cui vendita di armi, mezzi militari (elicotteri ecc.) e sicurezza elettronica nel 2011 si è attestata a 14,6 miliardi di dollari, pari al 60% del totale.

Tra gli altri colossi del settore, l'Europa conta anche l'olandese EADS (21,4 miliardi di dollari i ricavi in armi nel 2011), che produce aerei, missili e radar, e la britannica BAE Systems (29,2 miliardi di dollari), il più grande produttore di armi non americano che, tra l'altro, ha brevettato un sosfisticato sistema di simulazione per la formazione dei piloti.

Le altre sette società, invece, battono tutte bandiera a stelle e strisce: danno lavoro a quasi un milione di persone e contano un giro d'affati totale di oltre 100 miliardi di dollari nel 2011, a dimostrazione dell'importanza di questo settore per l'economia americana.

Eccole: United Technologies (giro d'affari di 11,6 miliardi di dollari in armi), l'azienda che produce gli elicotteri Black Hawk; L - 3 Communications (12,5 miliardi), specializzata in sistemi elettronici per mezzi militari; Northrop Grumman (21,4 miliardi), che produce missili e radar; Raytheon (22,5 miliardi), che fabbrica i missili Tomahawk Cruise e sistemi elettronici; General Dynamics (23,8 miliardi), che produce munizioni e mezzi militari (carroarmati e blindati); Boeing, colosso aeronautico di Chicago che deve la metà del proprio fatturato alla vendita di armi; Lockheed Martin, che nel 2011 ha venduto ben 36,3 miliardi in armi, soprattutto aerei, missili e sistemi radar.

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Massimo Morici

Scrivo su ADVISOR (mensile della consulenza finanziaria), AdvisorOnline.it e Panorama.it. Ho collaborato con il settimanale Panorama Economy (pmi e management) e con l'agenzia di informazione statunitense Platts Oilgram (Gas & Power).

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