Samsung, un sindacato di professionisti per proteggere gli operai
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Economia

Samsung, un sindacato di professionisti per proteggere gli operai

Accusata in Cina e in Brasile per le condizioni di lavoro nei suoi stabilimenti, il caso della multinazionale coreana dimostra che anche in patria la situazione non è molto migliore

Negli ultimi anni quello dell'azienda Foxconn è diventato un nome familiare per tanti, e non per il fatto di essere il principale riferimento, in Cina, per la produzione delle tecnologie targate Apple, quanto per essere finita in più di un'occasione al centro dell'attenzione per le condizioni di lavoro dei suoi stabilimenti in Cina. Da qualche tempo, però, quello delle regole di ingaggio degli operai è un problema che non riguarda più solo la Cina e le altre nazioni in via di sviluppo dell'Asia, ma anche paesi sviluppati che, invece, almeno sulla carta, dovrebbero seguire codici e procedure ben più simili a quelli dell'Occidente.

La Corea del Sud, infatti, dimostra come questi parallelismi non siano sempre fondati. Appena un paio di mesi fa, Samsung è finita nei guai per colpa di un rapporto di ben 122 pagine pubblicato dell'autorevole ONG cinese China Labor Watch, il punto di riferimento orientale per il monitoraggio delle condizioni di lavoro in Asia, che ha denunciato le "condizioni di lavoro estreme" che caratterizzerebbero sei stabilimenti della regina dei sistemi android in Cina e due fabbriche di suoi diretti fornitori. La denuncia da parte di China Labor Watch è arrivata a circa un mese di distanza da quella del Ministro del Lavoro brasiliano, che ha citato in giudizio la multinazionale coreana chiedendo un risarcimento di 108 milioni di dollari, da distribuire a quegli operai che, nello stabilimento Samsung Electronics di Manaus, sarebbero sottoposti a "turni di lavoro di quindici ore, dieci delle quali da trascorrere in piedi, spesso anche per 27 giorni consecutivi".

In Cina, invece, nelle fabbriche Samsung non solo non verrebbero rispettate le norme base di sicurezza, a partire dalla distribuzione delle protettive per i lavoratori, ma questi ultimi sarebbero anche costretti a più di cento ore di straordinari al mese e sarebbero frequentemente maltrattati fisicamente e verbalmente. Senza dimenticare l'accusa gravissima di sostenere il lavoro minorile.

In entrambi i casi, ma dopo aver respinto con forza l'accusa di aver assunto dei minorenni, la società coreana si è subito dichiarata pronta a collaborare per verificare le condizioni di lavoro dei suoi stabilimenti senza escludere la possibile presenza di irregolarità. Eppure, per capire davvero l'approccio di Samsung al mondo del lavoro, e degli operai, sarebbe utile vedere come l'azienda si comporta nel suo stesso paese. Dove, ad esempio, ha adottato una politica di tolleranza zero nei confronti dei sindacati interni, che sono quindi vietati. Cosa che ha indotto un gruppo di professionisti a creare, per la prima volta nella storia della Corea del Sud, un movimento in grado di dialogare con la classe dirigente dell'azienda rappresentando gli interessi dei lavoratori. 

Il Samsung Labor Rights Guardian è coordinato da Cho Dong-mun, docente di sociologia all'Università Cattolica di Corea nonché autore del libretto "La società coreana ha una serie di domande per Samsung". Questo anomalo sindacato si è posto come unico obiettivo quello di aumentare la consapevolezza delle condizioni di lavoro che caratterizzano le fabbriche di Samsung, pur rimanendo disponibile a trasformarsi nel punto di riferimento per tutti gli operai dell'azienda. "Nessuno di noi vuole negare i risultati straordinari ottenuti da Samsung in patria e all'estero, sia dal punto di vista della visibilità che da quello delle vendite. Tuttavia, tanti successi non possono essere rincorsi sfruttando i lavoratori", ha puntualizzato Cho Dong-mun sulla stampa coreana.

In realtà, il vero obiettivo di questo gruppo è quello di allineare Samsung alla rivoluzione che dovrebbe caratterizzare nel 2014 il mercato del lavoro in Corea del Sud. Dovrebbe infatti essere approvato su scala nazionale un aumento del salario minimo del 20 per cento (oggi pari a poco più di quattro dollari all'ora, che arrivano a circa cinque e mezzo se ricalcolati per la parità di potere d'acquisto). Non solo, la settimana lavorativa dovrebbe essere drasticamente accorciata, passando dalle attuali 68 alle "più accettabili" 52 ore, mentre l'età della pensione dovrebbe essere spostata dai 55 ai 60 anni. Quindi insomma, se in Corea del Sud si lavora così tanto guadagnando così poco, non è così bizzarro che lo staff di Samsung decida, all'estero, di organizzare turni di lavoro molto lunghi e mal pagati.

Questo ovviamente non significa che gli standard della multinazionale coreana debbano essere presi come esempio, ma i leader del Samsung Labor Rights Guardian hanno ragione a sostenere che, se riuscissero a cambiare le abitudini all'interno di Samsung potrebbero ottenere risultati straordinari anche nel resto del paese, a patto che la regina dei sistemi android si mostri da un lato di essere disponibile al cambiamento -dettaglio non così scontato, e dall'altro mantenga (come è probabile che sia) i risultati dell'ultimo periodo. Perché solo così dimostrerebbe che successo e tutela dei lavoratori possono procedere di pari passo.  

 

 

  

 

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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