Russia e Stati Uniti, la guerra economica che danneggia soprattutto l'Europa
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Economia

Russia e Stati Uniti, la guerra economica che danneggia soprattutto l'Europa

A rischio miliardi di euro di esportazioni e importazioni, e anche se l'economia russa sembra più vulnerabile, questa guerra crea problemi per tutti

Quella in cui sono rimasti invischiati Barack Obama e Vladimir Putin è una guerra prevalentemente economica, le cui conseguenze risultano al momento incalcolabili, sia per i due contendenti, sia per l'Europa che, dopo essersi limitata a osservare le loro mosse, ha deciso di scendere in campo al fianco di Washington. 

Dati alla mano, un conflitto commerciale tra Russia e Occidente sarebbe quanto meno tragico. Negli ultimi dodici mesi l'Unione Europea ha esportato in Russia beni il cui valore complessivo si attesta sui 123 miliardi di euro, e ha importato risorse per 212 miliardi. Tuttavia, è evidente che se Putin può tentare di fare a meno di macchinari, automobili e beni di consumo assemblati al di là degli Urali, l'Europa potrebbe fare molta più fatica a mantenere i suoi attuali ritmi produttivi senza il sostegno delle risorse della Russia.

Non è esclusa da questo ragionamento l'Italia, che nel 2013 ha esportato macchinari, prodotti alimentari e abbigliamento per oltre 10 miliardi di euro, importando in cambio il 30 per cento del metano di cui ha bisogno per soddisfare le necessità energetiche del paese.

C'è chi dice che l'escalation di tensioni legata all'invasione/annessione della Crimea da parte della Russia non sfocierà in una guerra tradizionale, che per un motivo o per l'altro fa paura a tutti, ma è impossibile negare l'impatto distruttivo della corsa alle sanzioni.

Tutto è cominciato nell'ormai lontano 21 novembre, quando l'allora presidente ucraino Viktor Yanukovych decise di non firmare un accordo di cooperazione politica e commerciale con l'Europa per evitare le ritorsioni di un Presidente russo che in più occasioni aveva specificato di essere fortemente contrario allo stesso. Questo voltafaccia ha dato l'avvio a una serie di proteste e scontri di piazza che hanno costretto Yanukovych a scappare. Eppure, mentre l'Ucraina si preparava a indire nuove elezioni, i russi, a sorpresa, hanno invaso la Crimea, in cui parlamento, lo scorso 6 marzo, si è espresso in favore dell'annessione.

E' da questo momento che Europa e Stati Uniti hanno iniziato a ipotizzare l'approvazione di una serie di misure economiche per sanzionarne quello che hanno definito un "comportamento aggressivo e ingiustificato". Eppure, queste minacce non hanno sortito alcun effetto, tant'é che la Crimea è riuscita a organizzare un referendum per formalizzare il proprio interesse per la secessione, e Mosca si è ritrovata, appena un paio di giorni fa, a firmare una legge con cui ne conferma l'annessione.

E gli Stati Uniti? E l'Europa? Per il momento restano a guardare, nel senso che indipendentemente dal peso delle sanzioni che di volta in volta stanno approvando, si stanno rendendo conto che Putin è determinato ad andare avanti per la sua strada. Poco importa che l'Occidente abbia deciso di escluderlo dal G8, o che sia stato formato un acordo di collaborazione politica e commerciale con l'Ucraina, o ancora che l'Europa non perda occasione per sottolineare l'illegalità dell'annessione della Crimea.

Tuttavia, per quanto Mosca abbia dichiarato un paio di giorni fa di essere in grado di ridurre l'America a una montagna di ceneri radioattive, possiamo per ora stare tranquilli sul fatto che non sarà certo l'Occidente a imbarcarsi in una guerra tradizionale. Allo stesso tempo, è fondamentale provare a stimare l'impatto di breve e medio periodo di un ulteriore inasprimento dell'attuale conflitto economico-finanziario.

Andando oltre il congelamento degli asset di 33 burocrati della Crimea e della Russia e l'impegno dell'UE a individuare dei precisi bersagli per la guerra economica che ha scelto di combattere al fianco degli Stati Uniti nel caso in cui gli equilibri strategici dell'Europa Orientale dovessero precipitare, è evidente che, da un punto di vista economico, la partita principale si gioca sul gas. Perché se è vero che è più facile per la Russia fare a meno dei macchinari europei di quanto l'Europa possa rinunciare alle sue risorse, è anche vero che in questo momento di crisi non sarà così facile per Putin trovare mercati alternativi in cui vendere gas e petrolio. Del resto, c'é chi ha calcolato che il blocco totale delle esportazioni di gas e petrolio costerebbe a Putin niente meno che 54 miliardi di euro, equivalenti a circa il 4 per cento del Pil.

Non va poi dimenticato che, in Russia, la borsa ha perso il 20 per cento del suo valore da quando è iniziata la crisi, le agenzie di rating hanno ridotto l'outlook del paese da stabile a negativo, mentre Visa e Mastercard hanno chiuso la collaborazione con due istituti di credito locali, Rossiya e SMP. Contemporaneamente, negli ultimi tre mesi sono volati via dal paese capitali per circa 70 miliardi di dollari, molti di più di quelli trasferiti nell'intero 2013.

Dopo alcuni giorni di tentennamenti, l'Europa sembra essersi decisa a sostenere gli Stati Uniti in questa pericolosa guerra commerciale. Il cambiamento del punto di vista di Bruxelles potrebbe essere legato alla nuova consepevolezza raggiunta dai suoi leader in merito alla vulnerabilità dell'economia russa. Se così fosse, potremmo ragionevolmente aspettarci di vedere Europa e Stati Uniti fermi sulle loro posizioni, ovvero decisi ad affondare economicamente la Russia. Il rischio che corrono è altissimo, e nel breve periodo dovranno certamente trovare un modo per arginare l'impatto negativo di un possibile rallentamento delle importazioni di gas. Ma nel medio dovrebbero avere maggiori propablità di ridimensionare le ambizioni di Putin, che tuttavia potrebbe voler correre il rischio di far affondare la nazione per soddisfare il suo ego.

Un'ultima considerazione: in un contesto economico globale e fortemente interconnesso, sembra surreale dover constatare l'esplosione di una guerra commerciale di queste dimensioni, perché chi vincerà pagherà il successo a caro prezzo, soprattutto in un momento in cui l'Europa ancora fatica a lasciarsi alle spalle i problemi creati dalla crisi finanziaria internazionale e gli Stati Uniti, anche se in fase di recupero, non sono certo sulla cresta dell'onda. Da qui lo scetticismo di chi ha sottolineato quanto nessuno dei due posa permettersi di accollarsi i costi per rilanciare una nazione, l'Ucraina, non particolarmente ricca di risorse e letteralmente in bancarotta. Ricordando altresì che, da febbraio a oggi, le sono già stati versati 11 miliardi di euro in "stanziamenti d'emergenza". 

 

 

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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