Rete Imprese Italia, la ricetta del cambiamento
Economia

Rete Imprese Italia, la ricetta del cambiamento

Artigiani e commercianti chiedono infrastrutture, cessione del patrimonio pubblico, razionalizzazione della spesa pubblica

È il momento di alzare la voce, di farsi sentire. I manager scrivono l’Italia che vogliono ai leader degli schieramenti in gara politica. I vertici di Confindustria lanciano messaggi con interviste e interventi sul loro giornale e sugli altri quotidiani. Commercianti e artigiani scendono in piazza. Anche questa è campagna elettorale, con le parti sociali impegnate a mettere un’ipoteca seria su una legislatura, la prossima, che tutti ritengono decisiva per il futuro del Paese.

I 30mila che si sono trovati lunedì 28 gennaio in 80 città d’Italia, mobilitati da Rete Imprese Italia, non rappresentano una novità ma sicuramente costituiscono un segnale del livello di tolleranza raggiunto nel ceto medio produttivo di fronte all’usura prodotta dal calo dei consumi, dalla pressione fiscale, dalle inefficienze della burocrazia, dalle troppe promesse non mantenute.

Rete Imprese Italia riunisce Confcommercio, Confesercenti, Confartigianato, CNA, Casartigiani. Non va tanto lontano dal vero Carlo Sangalli, potente presidente di Confcommercio e protempore rappresentante della Confederazione quando dice che questa è «l'Italia produttiva, che non frequenta i salotti buoni e che non ha “santi in paradiso” e che dei "paradisi fiscali" neppure conosce l'indirizzo». Ma certamente in questa Italia c’è anche chi ha imparato a convivere con l’evasione fiscale, fosse solo come strumento di autodifesa, almeno all’inizio.

Il cronometro della recessione utilizzato (un’impresa che chiude al giorno) è uno stress statistico (il saldo è comunque positivo…) ma il “popolo delle imprese diffuse” ha le sue ragioni per essere più che preoccupato e le ha raccolte in dossier di 30 pagine: “con il solo rigore al passo di carica non si va lontano”, dice Sangalli come ormai fanno molti se non quasi tutti. Ma le richieste sono quelle che ormai si sentono ad ogni dibattito e convegno (la razionalizzazione della spesa pubblica, le infrastrutture, la cessione del patrimonio pubblico, la scuola, l’export, etc. etc.) con il rischio che l’unica richiesta concreta finisce per essere “la definitiva archiviazione di un ulteriore incremento dell’IVA.

Tanto è legittimo pretendere che le cose funzionino e le condizioni di mercato siano garantite, quanto è giusto non abdicare al proprio ruolo. Suona quindi responsabile questo concetto espresso da Sangalli: «Sappiamo benissimo che molto dipende anche dalla capacità e dalla responsabilità del mondo delle imprese e del lavoro di cooperare per generare cambiamento ed innovazione». Ma è difficile sapere quanto questa consapevolezza sia diffusa tra il popolo delle imprese, piccole, familiari, magari di tradizione ma spesso disorganizzate e un po’ fiacche. Se i negozi chiudono, ad esempio, non è solo per il calo dei consumi altrimenti non si spiegherebbe la crescita costante e inevitabile del commercio elettronico. C’è, dentro la recessione, una crisi che neanche un governo perfetto potrebbe aiutare ad affrontare. Quando il ciclo economico tornerà positivo nulla sarà più come prima. E forse grandi e piccole imprese, manager e professionisti dovrebbero tenerlo presente e ricordarlo ai leader politici annebbiati dalla contingenza e scarsi di visione. Per evitare abbagli prelettorali. Con conseguenti, cocenti delusioni.

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Giovanni Iozzia

Ho lavorato in quotidiani, settimanali e mensili prevalentemente di area economica. Sono stato direttore di Capital (RcsEditore) dal 2002 al 2005, vicedirettore di Chi dal 2005 al 2009 e condirettore di PanoramaEcomomy, il settimanale economico del gruppo Mondadori, dal 2009 al maggio 2012. Attualmente scrivo su Panorama, panorama.it, Libero e Corriere delle Comunicazioni. E rifletto sulle magnifiche sorti progressive del giornalismo e dell’editoria diffusa.  

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