Punti di forza e di debolezza della politica economica di Renzi in Europa
Economia

Punti di forza e di debolezza della politica economica di Renzi in Europa

Gianfranco Polillo, ex sottosegretario al ministero dell'Economia del Governo Monti, spiega: Renzi fa bene a cercare la rottura con il passato. Ma deve chiudere in fretta un accordo in Europa: vincoli finanziari meno stretti in cambio di riforme per lo sviluppo

Gianfranco Polillo è stato sottosegretario al Ministero dell'Economia nel Governo Monti
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Quali sono i punti di forza e di debolezza della Matteo-economics? Renzi ha ragione nel cercare una diversa via rispetto al passato. Tutta la Seconda repubblica è stata caratterizzata da uno scivolamento progressivo. Un tasso di crescita inesistente, una crescente disoccupazione, un ascensore sociale che si è definitivamente fermato ai piani bassi di un edificio sempre più disastrato. E potremmo continuare. Interrompere questa spirale, che potrebbe durare per chissà quanto tempo ancora, è al tempo stesso un atto necessario e coraggioso.

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Dove nascono le perplessità? Nel pensare che un obiettivo di questa portata possa essere conseguito senza un duro confronto politico interno ed internazionale. Tutto sarebbe più facile se vi fossero le necessarie risorse. Ma come ha subito precisato la BCE, gli impegni assunti dall’Italia vanno in una direzione opposta. Del resto le presunte coperture (qui quelle indicate dal Governo Renzi ) sono del tutto improponibili sia sul piano tecnico sia rispetto ai tradizionali canoni di finanza pubblica.

Ed ecco, allora, la prima conclusione: la manovra ipotizzata è semplicemente in deficit. Se realizzata nei tempi previsti, compreso il pagamento dei debiti della PA, comporterà un disavanzo ulteriore di circa 1 punto di PIL ed una crescita del debito ben superiore.  Non è un buon viatico. Porta all’immediata conclusione che i tempi previsti, calibrati su esigenze di carattere elettoralistiche, non potranno essere rispettati. La strada è quindi più ardua, ma non per questo deve essere abbandonata. Richiede solo un orizzonte temporale più ampio ed una forte coesione nazionale. Un format politico analogo a quello che ha portato all’approvazione, alla Camera, della nuova legge elettorale.

Il primo passo dovrà essere il varo del DEF: il documento economico e finanziario. Lì dovranno essere indicati i traguardi finanziari, ma anche le contestuali riforme da realizzare. La loro griglia è quella che è stata indicata dal Consiglio d’Europa, nel decretare il superamento, da parte dell’Italia, della procedura d’infrazione: riforma del mercato del lavoro, abbassamento del carico fiscale, riduzione del perimetro dello Stato, riforma della giustizia, privatizzazioni e liberalizzazioni. Riforme che dovranno essere vere e credibili, a differenza del puro elenco burocratico presentato lo scorso anno dal precedente Governo. E che, quindi, dovranno fare i conti con le resistenze più corporative, a partire dai sindacati, gelosi custodi dell’immobilismo.  

Con questo retroterra, forte del sostegno di una maggioranza più ampia, Matteo Renzi si sta recando in Europa a discutere del tutto. La parte più difficile. Incontrerà le resistenze di una burocrazia che ha il sostegno politico di Angela Merkel e dei suoi più stretti alleati, ma anche la simpatia dei Paesi più esposti alla crisi, come la Spagna o la Grecia. Mentre la Francia, che non potrà esporsi più di tanto, tiferà per il piccolo Golia. Quali le possibilità di successo?

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Dalla sua, Matteo Renzi ha la crescente percezione che le politiche d’austerità, finora perseguite, hanno portato il vecchio Continente in un vicolo cieco. Lo spettro della deflazione, seppure continuamente esorcizzato, si aggira nelle principali capitali europee. Genera malessere e il rimbrotto aperto degli Stati Uniti e dei più blasonati organismi internazionali. Su questi elementi può, quindi, far leva. Ma c’è dell’altro. Il punto d’appoggio sono i cosiddetti “contractual agreement”: quella nuova procedura, ancora in via di gestazione, che subordina l’eventuale allentamento dei vincoli finanziari all’avvio di riforme in grado di accrescere lo sviluppo potenziale.

Questo è quindi il doppio scambio: all’interno più soldi in busta paga per un maggior impegno da parte dei lavoratori. All’estero: un po’ più di deficit e di debito e tante riforme per far crescere il PIL. Pura teoria? Anche. Ma Francia e Spagna l’hanno già tradotta in pratica. Il rispettivo deficit é due volte quello italiano. Crescono, tuttavia, un po’ di più ed i mercati hanno apprezzato lo sforzo compiuto, premiandoli con uno spread ben più basso di quello italiano.  

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Gianfranco Polillo