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Economia

Reddito di cittadinanza: "Chiamiamolo assegno di povertà"

Per il sindaco di Giovinazzo, il Comune simbolo della misura dei 5 Stelle, è giusto accompagnare le persone bisognose verso la pensione

Il giorno dopo le elezioni politiche dello scorso 4 marzo, il Comune di Giovinazzo, 20 mila abitanti alle porte di Bari, conquistò le cronache nazionali perché numerosi cittadini si recarono a Caf e sportelli comunali per chiedere i moduli con cui ottenere il reddito di cittadinanza promesso in campagna elettorale dal M5s.

Oggi che la misura è entrata nel Def, siamo tornati nel Comune barese per chiedere al sindaco Tommaso Depalma se i suoi concittadini sono tornati alla carica. "In realtà, un po' come la storia delle unioni civili di cui si è parlato per mesi ma poi una volta entrata in vigore la legge qui a Giovinazzo ha interessato soltanto tre coppie, anche sul reddito di cittadinanza i cittadini sono più interessati agli strumenti tradizionali già a disposizione, dal contributo straordinario all'aiuto nella ricerca della casa. Certo, sul reddito di cittadinanza in molti sono tornati a interessarsene, a chiedere agli uffici e anche direttamente a me, ma hanno capito che non è chiaro ancora nulla e quindi non insistono molto. E poi, nel frattempo stanno funzionando le altre misure".

Di quali misure parla?
In Puglia c'è il reddito di dignità regionale. Abbiamo fatto una cinquantina di contratti che si stanno rivelando abbastanza utili per sostenere le famiglie anche se le aziende non hanno risposto e gli interessati sono stati impegnati più sul pubblico, negli istituti scolastici. Si tratta di una buona misura perché non è un ammortizzatore tout court, un parcheggio temporaneo come sembra il reddito di cittadinanza. E poi c'è il Rei (il reddito di inclusione dello scorso governo, ndr) per il quale gli uffici hanno ricevuto oltre 470 domande che abbiamo girato agli enti regionali e ai Caf che gestiscono la misura.

Ma quante persone ritiene abbiano bisogno di una misura come il reddito di cittadinanza, in un Comune come il suo?
In municipio abbiamo fatto la radiografia di quanti hanno davvero bisogno delle case popolari, partendo da una lista di 2.500 persone che avevano fatto domanda e siamo arrivati a 116 nuclei familiari. Ritengo che più o meno queste siano le famiglie bisognose. Certo, ci sono anche famiglie che hanno la casa di proprietà, magari fatiscente o magari ricevuta in eredità dai genitori, ma che non hanno un reddito e mi sembra assurdo che debbano essere penalizzate.

Tra quelli che le hanno chiesto informazioni sul reddito di cittadinanza, lei ritiene che ci siano anche dei "furbetti"?
La mia percezione è che tra quelli che mi hanno fermato c'è stato qualcuno che ci ha provato anche sapendo di non averne diritto, ma non più di tanti, anche perché con il nuovo modello Isee, che verifica anche i conti correnti, è difficile non scoprirli.

Ci sono anche dei giovani interessati a questa misura?
Sì anche loro, ma a questi e anche a quelli meno giovani che ritengo si possano ancora dar da fare, li indirizzo verso lo Sportello Europa, un ufficio che abbiamo aperto, che stimola l'imprenditoria mettendo a disposizione anche gli strumenti economici nazionali ed europei del caso.

Dei vari redditi e contributi che elargite alla fine della misura che cosa rimane?
Finito l'aiuto economico, quasi tutti ripiombano nel baratro. Ma è normale. Non bisogna illudersi e illudere che troveranno lavoro. C'è una fascia di popolazione che non è riutilizzabile nel nostro Sistema Paese e va solo accompagnata alla pensione, senza chiedergli altro perché non è in grado di farlo. 


(Articolo pubblicato nel n° 43 di Panorama, in edicola dall'11 ottobre 2018, con il titolo "Chiamiamolo assegno di povertà")


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Antonio Calitri