Quattro motivi perché il miracolo cinese potrebbe finire
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Economia

Quattro motivi perché il miracolo cinese potrebbe finire

Urbanizzazione massiccia, crescita foraggiata da debito e sussidi, crisi del settore bancario e mentalità troppo poco riformista

Il miracolo cinese sta finendo? C'è chi ne è convinto, immaginando di conseguenza che la "nuova" Repubblica popolare abbia tutte le carte in regola per stravolgere di nuovo gli equilibri economici globali.

Chi sposa questa teoria vede nell'urbanizzazione massiccia in cui la nazione continua a investire il sintomo di un malessere che difficilmente potrà essere curato. A prescindere dagli obiettivi di crescita al 7,5 per cento che il paese ha confermato nel corso dell'Assemblea Nazionale del Popolo che si è appena conclusa.

Dati alla mano, la Cina è cresciuta del 7,7 per cento sia nel 2012 che nel 2013, quindi, di fatto, è rimasta al di sopra del tetto del 7,5 per cento definito un paio di anni fa, quando la crisi economica internazionale, sommandosi alle difficoltà strutturali del paese, hanno imposto un brusco rallentamento a quella crescita a due cifre che ha contraddistinto la Repubblica popolare sin dalla fine degli anni '90.

Eppure, anche se la crescita continua, l'economia del gigante d'Oriente continua a dare segni di malessere. Per quanto il Premier Li Keqiang abbia ribadito appena un paio di giorni fa che le priorità del Partito sono la riforma fiscale e quella del settore finanziario, il vero problema è che, fino ad oggi, la crescita della Cina è stata foraggiata da debito e sussidi. E oggi i capitali da "sperperare" in un modello di "crescita a tutti i costi" sono finiti.

Per capire quali sono le difficoltà economiche della Cina di oggi è molto utile osservare quello che sta succedendo nelle "piccole metropoli" dell"interno. Come Wuhan, dove nei prossimi cinque anni verranno spesi 240 miliardi di euro per trasformare una "città" che ospita già dieci milioni di abitanti in una metropoli globale. In una manciata di mesi verranno costruiti centinaia di appartamenti, strade, ponti, ferrovie, una rete metropolitana e un nuovo aeroporto.

Tutto questo, però, non succede solo a Wuhan. Negli ultimi anni la Cina è stata in grado di costruire un grattacielo ogni cinque giorni, ha inaugurato 30 nuovi aeroporti e 25 linee metropolitane. Eppure, gli esperti ritengono che ci siano due modi per leggere questi dati. Da un lato testimoniano il successo di un paese che è riuscito a mantenere per anni un tasso di urbanizzazione rapidissimo, dall'altro una crescita "preoccupante" perché non in grado di generare adeguati ritorni economici.

La crescita cinese è sempre stata stimolata dagli investimenti statali, ma almeno fino al 2008 una grossa fetta di profitti e liquidità veniva incamerata grazie alle esportazioni. Dopo la crisi finanziaria internazionale questa fetta di entrate si è ridotta moltissimo, una dopo l'altra tante fabbriche hanno chiuso è il tasso di disoccupazione è cresciuto. Allo stesso tempo, la quota di "investimenti interni", che era già arrivata a un pericoloso 40 per cento, è salita di altri dieci punti. Essenzialmente perché il Governo ha scelto di far fronte alla crisi approvando generosissimi pacchetti di stimoli. Grazie ai quali sono state costruite palazzine e strade che sono poi rimaste vuote. Non solo, dal 2008 ad oggi la quota di debito sul Pil è passata dal 125 al 200 per cento, mentre il valore complessivo del settore bancario (reale o ombra che sia) è passato da dieci a 25 trilioni di dollari. L'Occidente ci ha già insegnato cosa succede a quei sistemi finanziari che creano troppa liquidità troppo in fretta, e in Cina, sostengono alcuni analisti, la situazione sta diventando insostenibile.

Fortunatamente, però, il disastro non è ancora inevitabile, ma per uscire da questa situazione il paese dovrebbe studiare e implementare quelle riforme necessarie per generare una crescita sostenibile, anche se molto più lenta. E lenta non significa il 7,5 per cento annunciato dal Partito la settimana scorsa, ma il 4, massimo 5. Un tasso che già si sa non sarà sufficiente a mantenere il controllo su una società che ha sempre più esigenze. Eppure, se l'unica alternativa è andare avanti con questa folle politica dei prestiti, Pechino dovrà farsene una ragione. Altrimenti così come la rivoluzionaria crescita cinese, nel bene e nel male, ha stravolto le nostre vite, la sua brusca frenata potrebbe fare altrettanto, questa volta senza vantaggi per nessuno.

 

 

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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