Province, dopo il rischio cancellazione ora c’è quello del dissesto
Economia

Province, dopo il rischio cancellazione ora c’è quello del dissesto

Con i tagli previsti dal governo 100 amministrazioni su 107 non potranno che dichiarare fallimento

Alzi la mano chi davvero ha capito che cosa ne sarà delle nostre Province. Si è passati dagli annunci tonitruanti di risparmi dell’ordine di 500 milioni di euro derivanti dalla loro totale cancellazione, alle ultime notizie della mancata conversione in legge nemmeno del tanto discusso decreto che procedeva almeno ad un loro accorpamento. Alla fine dunque 107 erano le province italiane e 107 rimarranno. Peccato però che la questione non si esaurisca così, ed ora per i cittadini oltre alla beffa di una riforma tanto strombazzata e poi abbandonata, potrebbe prefigurarsi anche il danno dello stop a tutta una serie di servizi essenziali. Per capire di cosa stiamo parlando, è bene fare ordine nei vari provvedimenti approvati dal governo.

Per farlo ci siamo affidati ad Angelo Vaccarezza, presidente della Provincia di Savona, nonché vicepresidente dell’Upi, l’Unione delle Province italiane. “L’inizio di tutta questa intricata vicenda – esordisce Vaccarezza – risale al decreto Salva Italia e al suo articolo 23 che stabiliva lo svuotamento delle province da ogni competenza, che sarebbe passata in mano a Regioni e Comuni che avrebbero avuto a loro volta tempo fino al prossimo 31 dicembre per stabilire come sarebbero stati garantiti tutta una serie di servizi prima in mano alle province”. Stiamo parlando di competenze non da poco in effetti, e con ricadute economiche non indifferenti.

Basti pensare innanzitutto alla viabilità e alla mobilità, che prevede la gestione complessiva di circa 125mila chilometri di strade nazionali extraurbane, con una spesa complessiva di 1 miliardo e 430milioni di euro. C’è poi l’edilizia scolastica con la gestione di oltre 5.000 edifici, quasi 120mila classi e oltre 2 milioni e 500 mila allievi, il tutto per una spesa complessiva di 2 miliardi e 210 milioni di euro. E ancora la gestione e la tutela ambientale, con annesso smaltimento dei rifiuti, per una spesa  di circa 3 miliardi e 200 milioni di euro. Per non parlare delle politiche del lavoro, con la gestione tra gli altri del collocamento, servizi che complessivamente comportano una spesa annua di circa un miliardo e 100 milioni di euro. E si potrebbero ancora citare i 210 milioni per sport e turismo, i 190 milioni per la cultura e i 180 milioni spesi per i servizi sociali.

ECCO QUANTO VALE LA SPESA PUBBLICA

Ebbene, tutta questa mole di servizi con relativa copertura economica potrebbero restare senza responsabile, almeno a sentire l’allarme lanciato dalle province. “In seguito infatti al decreto Salva Italia – racconta Vaccarezza – scattarono subito le accuse di incostituzionalità del citato articolo 23, con ben 8 Regioni che fecero ricorso alla Corte costituzionale. Quest’ultima non si espresse in attesa che il governo da solo attuasse le dovute modifiche. Arriviamo così alla legge sulla spending review con la quale ci riassegnano tutte le competenze, ma condizionando il tutto alla futura approvazione di una norma di riordino delle province”. Ed è così che arriviamo ai giorni nostri. La norma di riordino, che è poi quella che tra le altre cose prevedeva l’accorpamento, viene fatta, ma il decreto in questione come detto, non è stato convertito, e così in pratica la frittata è fatta.

Le province infatti tornano ad essere 107, proprio come un anno fa, ma paradossalmente ora sono senza competenze, perché l’articolo 23 del decreto Salva Italia nel frattempo è legge dello Stato. Un vero pastrocchio, da cui sarà difficile uscirne aspettando i provvedimenti di Comuni e Regioni, che di certo entro il 31 dicembre non saranno in grado di dipanare la matassa. “A questo punto – attacca Vaccarezza – l’unica speranza è che nella legge di stabilità in discussione in Parlamento il governo introduca un emendamento che in pratica riaffidi le competenze alle province in attesa che un futuro governo provveda al riordino fallito in questa occasione”.

L’urgenza di un tale provvedimento non è da sottovalutare, se si pensa che ad esempio proprio in queste ore sono sorti già seri problemi a livello locale su chi debba gestire la pulizia delle strade invase dalla neve. “La soluzione migliore – aggiunge Vaccarezza – sarebbe quella che il governo decidesse di abrogare l’articolo 23 del Salva Italia, prendendo atto del fallimento del proprio tentativo di riforma e riportando tutto come a un anno fa”. Una scelta che tra l’altro sarebbe di buon senso anche considerando un altro elemento fondamentale. Nella legge di stabilità in discussione si prevedono infatti per le Province tagli che saranno di 500 milioni per questo 2012 e di ben 1,2 miliardi per il 2013.

Si tratta di tagli pensati con una logica di Province senza competenze e accorpate, che ora che però alla luce della nuova situazione potrebbero essere del tutto letali per molte realtà. “E’ chiaro fin d’ora – conclude infatti amaramente Vaccarezza – che se le province restano 107 e gli vengono riaffidate le competenze, come d’altronde ormai inevitabile, con quei tagli 100 amministrazioni provinciali non potranno che dichiarare il dissesto”. E sarebbe certo un cattivo modo per il governo Monti di congedarsi dagli italiani.

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Giuseppe Cordasco

Sono nato e cresciuto ad Aarau nel cuore della Svizzera tedesca, ma sono di fiere origini irpine. Amo quindi il Rösti e il Taurasi, ma anche l’Apfelwähe e il Fiano. Da anni vivo e lavoro a Roma, dove, prima di scrivere per Panorama.it, da giornalista economico ho collaborato con Economy, Affari e Finanza di Repubblica e Il Riformista.

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