I problemi della spending review: tagli e tenisioni
Economia

I problemi della spending review: tagli e tenisioni

Sembrava che la comune esperienza alla Banca d’Italia facilitasse la loro collaborazione. Ma tra il commissario e il ragioniere è scontro all'ultimo taglio

La spending review non è ancora partita, ma il Ragioniere e il Commissario hanno già incrociato le spade. Daniele Franco, Ragioniere generale dello Stato, viene dall’ufficio studi della Banca d’Italia dove Carlo Cottarelli, Commissario alla revisione della spesa con incarico triennale, si è fatto le ossa negli Anni 80 insieme a Ignazio Visco, attuale governatore. Franco controlla i dati che consentono di conoscere quanto spende ogni più remota provincia della macchina pubblica. Cottarelli deve mettere mano alle forbici. L’uno e l’altro hanno giurato (anche a Panorama) la massima collaborazione; adesso, però, cominciano i guai. Cottarelli ha creato 25 commissioni per scandagliare l’ amministrazione pubblica, con il rischio di invadere il territorio di ogni ministero e della Ragioneria; e ciò spinge Franco a difendere i propri uomini e le loro competenze. Un déjà vu che ricorda l’infelice esperienza di Enrico Bondi.

Una delle matasse più intricate riguarda gli statali. Il 13 dicembre la Ragioneria ha pubblicato un’analisi dettagliata che mette insieme i dati dal 2007 al 2012 su 10 mila organismi pubblici, con una stima sul 2013. Il blocco delle assunzioni ha tagliato 200 mila posti: i 3 milioni 343 mila dipendenti pubblici oggi sono il 13 per cento del totale delle forze di lavoro rispetto al 14,3. E anche l’anno scorso è proseguita la riduzione degli organici in tutti i comparti (con eccezione di magistrati e diplomatici). Mario Monti ha lasciato in eredità a Enrico Letta un provvedimento di legge su 7 mila esuberi. Ci sono davvero? Le cifre ufficiali alimentano il dubbio e saranno usate dai sindacati per opporsi a nuovi tagli. Le tensioni tra Franco e Cottarelli non sono le uniche nel quadrilatero di via XX Settembre. Al contrario, i duelli cominciano dall’alto, esattamente da quello tra Daniele Cabras, capo di gabinetto del ministro, e Vincenzo La Via, direttore generale del Tesoro. Fabrizio Saccomanni aveva pensato che con oculati innesti esterni si sarebbe assicurato il pieno governo della macchina, invece il superministero rischia di sfuggirgli di mano.

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Stefano Cingolani

Stefano Cingolani, nasce l'8/12/1949 a Recanati e il borgo selvaggio lo segna per il resto della vita. Emigra a Roma dove studia filosofia ed economia, finendo a fare il giornalista. Esordisce nella stampa comunista, un lungo periodo all'Unità, poi entra nella stampa dei padroni. Al Mondo e al Corriere della Sera per sedici lunghi anni: Milano, New York, capo redattore esteri, corrispondente a Parigi dove fa in tempo a celebrare le magnifiche sorti e progressive dell'anno Duemila.

Con il passaggio del secolo, avendo già cambiato moglie, non gli resta che cambiare lavoro. Si lancia così in avventure senza rete; l'ultima delle quali al Riformista. Collabora regolarmente a Panorama, poi arriva Giuliano Ferrara e comincia la quarta vita professionale con il Foglio. A parte il lavoro, c'è la scrittura. Così, aggiunge ai primi due libri pubblicati ("Le grandi famiglie del capitalismo italiano", nel 1991 e "Guerre di mercato" nel 2001 sempre con Laterza) anche "Bolle, balle e sfere di cristallo" (Bompiani, 2011). Mentre si consuma per un volumetto sulla Fiat (poteva mancare?), arrivano Facebook, @scingolo su Twitter, il blog www.cingolo.it dove ospita opinioni fresche, articoli conservati, analisi ponderate e studi laboriosi, foto, grafici, piaceri e dispiaceri. E non è finita qui.

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