Il problema vero delle aziende italiane
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Economia

Il problema vero delle aziende italiane

Jacopo Morelli, il presidente dei Giovani imprenditori di Confindustria, invita il Presidente del Consiglio Matteo Renzi a guardare alla pressione fiscale al 65%

L’accento è identico e l’età pure: ma lui, Jacopo Morelli, il chiodo alla Fonzie non lo indosserebbe mai. "Non è il mio stile" sorride il presidente dei Giovani imprenditori di Confindustria. Morelli è un fiorentino doc, con padre imprenditore televisivo e madre assistente sociale. E il suo non è proprio l’identikit del "figlio di". Fresco di laurea, una dozzina d’anni fa affitta con due amici un appartamento accanto all’Università di Stanford, in California. È lì, nei corsi di business management, che nasce l’idea della prima start-up. Più avanti, con gli stessi soci, Morelli acquisisce EmmeEmme, la società di arredamenti che presiede. "Lusso democratico" è il motto aziendale.

Anche se s’impegna, non le riesce di sembrare pop. Si rassegni.
Non lo sono, né mi sono mai sforzato di apparire pop. Ammetto di privilegiare uno stile un po’ più classico.

I suoi calzini rossi in effetti le danno un tocco "vintage".
Non mi sono mai conformato alle mode. Alle elementari mi prendevano in giro perché portavo il "deerstalker", il cappello di Sherlock Holmes. Me ne infischiavo.

Renzi veste bene?
Abbiamo stili diversi. Io mi servo di un sarto, ho cominciato a farmi fare gli abiti su misura a 18 anni perché non ne trovavo di adatti. Ho le spalle larghe e la vita magra, non è facile.

Al liceo classico Galilei la guardavano come un marziano?
Ero l’unico sostenitore della rivoluzione liberale berlusconiana in mezzo a una schiera di compagni di sinistra.

Nel 2011, appena eletto alla guida dei Giovani imprenditori, sollevò per primo la questione della "gerontocrazia" italiana. L’allora premier Silvio Berlusconi scelse di non commentare "per amor di patria", le dichiarazioni dei "ragazzotti industriali".
Più che con lui, io ce l’avevo con Giulio Tremonti e con chi si opponeva alla riforma delle pensioni.

Lei ha la stessa faccia da bravo ragazzo di Renzi. Vi siete conosciuti a scuola?
L’ho incontrato per la prima volta quando era già presidente della Provincia di Firenze. Alle elezioni comunali del 2009 l’ho anche votato.

Dunque non avete fatto gli scout insieme.

Scherza? I calzoni corti non mi si addicono.

Lei va a messa, la domenica?
Non sono praticante. Su certi temi ho una mia sensibilità: penso che i liberali dovrebbero battersi per la ricerca scientifica, le coppie di fatto, la procreazione assistita e la terapia del dolore. A Firenze ho prestato servizio da volontario per due anni ai malati non autosufficienti. Ho visto che cosa significa patire sofferenze indicibili e vivere un’esistenza intollerabile.

Lei ha votato Berlusconi nel 1994, nel 2009 Renzi alle comunali e Mario Monti alle ultime politiche del 2013. Si sente coerente?
L’Italia non ha ancora avuto la sua rivoluzione liberale. Le riforme istituzionali, il fisco da confisca, la giustizia che non dà certezza: sono grandi questioni irrisolte. Mi sembra che molte idee di Renzi ricordino quelle del Berlusconi degli esordi.

I due si somigliano?
Sono due abili comunicatori, ma per il resto non vedo somiglianze. Nel 1994 Berlusconi veniva da un’esperienza imprenditoriale di successo, unica in Italia. Sulle tv si erano cimentati altri gruppi e avevano fallito. Renzi è nato e cresciuto nella politica. E poi mi sembra che si muova in modo più destrutturato.

"Destrutturato"?
Renzi ha invitato a fare meno tavoli e a mandare più email. Ci sono rituali vuoti, è vero, ma a volte incontrarsi di persona è indispensabile. Ho trovato anche un po’ barbaro il metodo dello streaming. Tutto si riduce a una società dello spettacolo, un perenne "Grande fratello". Al suo posto non avrei accettato quella modalità d’incontro con Beppe Grillo.

Chi ha vinto tra i due?
Ha perso il rango della Repubblica.

Diranno che lei è il fiorentino démodé. Di Renzi invece dicono che è "cool".
Me ne farò una ragione.

Il premier ha fatto bene a planare su Palazzo Chigi senza passare per le urne?
Non è stato l’arrivo ideale. Niccolò Machiavelli dice che "il successo loda l’azione". Adesso tocca fare sul serio.

Di sicuro ci saranno le visite nelle scuole, una a settimana. Ha apprezzato il "clap & jump for Renzi", che i maestri di Siracusa hanno fatto cantare ai bambini?
Che dirle, sul servilismo italiano ci sono pagine memorabili di Piero Gobetti.

E la stampa?

In parte è stucchevolmente apologetica nei confronti del premier. Le prime pagine dei giornali si sperticano in lodi, anche se fino a oggi il governo non ha ancora iniziato a lavorare. In questo modo i mass media rinunciano alla loro funzione di controllo e pungolo.

Quindi, secondo lei, la stampa è prona.
Ho memoria, anche recente, di una stampa ben più severa ed esigente. Con Renzi invece c’è un’immensa apertura di credito. Il suo ritratto da ultima speranza è francamente pietoso. Se Renzi fallisce, l’Italia non è perduta.

Che cosa dice della squadra di governo?
Giudicheremo da quel che faranno. Oltre l’effetto comunicazione sullo schema 8 uomini e 8 donne, conterà la capacità. Magari potevano essere più capaci 12 donne e 4 uomini.

Tra di loro c’è Federica Guidi. Lei la conosce bene: è stato il suo vice in Confindustria. È già finita nel tritacarne per i potenziali conflitti di interesse...
La questione potenzialmente può esistere, anche se l’Authority ha valutato che non ci sono conflitti. Se mai Federica si trovasse nella situazione di poter avvantaggiare i suoi, sono comunque certo che si asterrebbe. Nel 2013 hanno chiuso 111 mila aziende, il 7 per cento più del 2012. Renzi ha promesso un taglio del cuneo fiscale a due cifre. Poi ha ridimensionato le promesse, alla fine ha parlato di 10 miliardi. Staremo a vedere. Dal 2000 il costo unitario del lavoro è aumentato del 15 per cento, in Germania è calato della stessa quota. La pressione fiscale sulle imprese supera il 65 per cento, è 18 punti più alta di quella tedesca.

Da dove si deve partire, allora?
Oltre che da un fisco da confisca, la nostra scarsa competitività è data dall’incertezza del diritto. Penso alla giustizia civile, ma anche a quella penale, con le migliaia di detenuti in attesa di giudizio. C’è gente che ha paura di fare impresa nel nostro Paese perché ritiene di essere alla mercè dell’arbitrio giudiziario. Non si capisce perché i magistrati non debbano rispondere dei loro errori, come i chirurghi o altri professionisti.

Quanto tempo date al governo?
Qualche settimana per varare i provvedimenti fondamentali.

Che cosa deve fare Renzi per riuscire?
Avere un programma radicale su riforme, taglio della spesa pubblica e tasse. Attuarlo attraverso persone competenti. Il vero leader è chi sa confrontarsi con i fuoriclasse nei rispettivi settori. Ha presente il gabinetto di guerra di Winston Churchill?

Perché, lei saprebbe guidarlo?
La storia non si ripete. Churchill è inimitabile. E per fortuna non siamo in guerra.

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Annalisa Chirico

Annalisa Chirico è nata nel 1986. Scrive per Panorama e cura il blog Politicamente scorretta. Ha scritto per le pagine politiche de "Il Giornale". Ha pubblicato "Segreto di Stato – Il caso Nicolò Pollari" (Mondadori, pref. Edward Luttwak, 2013) e "Condannati Preventivi" (Rubbettino, pref. Vittorio Feltri, 2012), pamphlet denuncia contro l’abuso della carcerazione preventiva in Italia. E' dottoranda in Political Theory a alla Luiss Guido Carli di Roma, dove ha conseguito un master in European Studies. Negli ultimi anni si è dedicata, anche per mezzo della scrittura, alla battaglia per una giustizia giusta, contro gli eccessi del sistema carcerario, a favore di un femminismo libertario e moderno.

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