I poveri perdono la lotta di classe
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Economia

I poveri perdono la lotta di classe

Con la crisi il tasso di disuguaglianza è cresciuto e la popolazione mondiale è sempre più povera

Secondo le più recenti statistiche pubblicate dal Fondo Monetario Internazionale, il livello di disuguaglianza dei redditi è cresciuto moltissimo negli ultimi vent'anni, ma ciò che davvero stupisce è che questa impennata abbia caratterizzato soprattutto i paesi avanzati.

Solo negli Stati Uniti le evoluzioni dei tassi di concentrazione dei redditi sono spaventosi. Nel 1980 "solo" il 30 per cento del reddito rimaneva condensato nelle mani del 10 per cento della popolazione più ricca. Nel 2012 questa percentuale era già salita di 18 punti. Non solo, la ricchezza controllata dall'1 per cento dei paperoni è addirittura raddoppiata, passando dall'8 al 19 per cento. A peggiorare queste stime, dal punto di vista dei meno fortunati, naturalmente, vi è il fatto che questo un per cento di miliardari si è intascato niente meno che il 95 per cento dei nuovi redditi generati, mentre il livello medio di reddito per il 90 per cento degli esclusi non solo è inesorabilmente calato, ma ha finito col penalizzare soprattutto le fasce più svantaggiate. Non va molto meglio in Europa, dove disuguaglianza e povertà sono cresciute con la crisi: Commissione Europea, Ocse e Banca Mondiale hanno infatti calcolato che il 20% dei cittadini europei più ricchi guadagna cinque volte di più del 20% di quelli più poveri

Il Time ha ricordato proprio nei giorni scorsi come qualche tempo fa il filosofo ed economista tedesco Karl Marx era giunto alla conclusione secondo cui il capitalismo, un giorno, avrebbe "inevitabilmente concentrato la ricchezza nelle mani di una manciata di persone impoverendo il resto della popolazione". Ebbene, i dati del FMI lascierebbero pensare che questo incubo si sia infine concretizzato. E che l'esplosione della disuguaglianza sia stata altresì accompagnata da una riduzione drastica della mobilità sociale. Il che vuol dire che chi è povero oltre ad essere destinato a diventare sempre più povero, non ha più alcuna opportunità di modificare la sua condizione.

Eppure, dicono gli analisti, non dovremmo preoccuparci così tanto, essenzialmente perché "i burocrati sono consapevoli del problema e sono seriamente intenzionati a risolverlo". Peccato che fino ad oggi nessuno sia ancora riuscito dare concretezza a questi proclami. Anzi, secondo l'interpretazione del Time, ai quattro angoli del mondo la situazione dei poveri sarebbe addirittura peggiorata. In Europa continua a trionfare l'austerità, gli Stati Uniti continuano a impegnarsi a garantire sussidi più che posti di lavoro, in Giappone il mix di inflazione e aumento delle tasse ha avuto effetti micidiali sulle famiglie meno ricche, e anche i risparmiatori cinesi per una serie di cavilli burocratici si ritrovano a non poter investire i propri soldi in attività finanziarie più redditizie. 

Tutto questo nonostante basterebbero un paio numeri per dimostrare che, oggi, per rilanciare la crescita di un paese in maniera sostenibile converebbe proprio investire sui poveri. Aumentandone il reddito medio percepito e offrendo loro nuove prospettive in termini di mobilità sociale qualsiasi nazione riuscirebbe a rilanciare il tasso dei consumi interni. Questo non significa che bisogna spingere di nuovo la popolazione mondiale a indebitarsi per soddisfare un numero più elevato di bisogni, ma evitare che il numero di mani in cui si concentra il reddito globale continui a diminuire sì. Non va dimenticato che in un paese dove ci sono troppi poveri e pochissimi ricchi lo stato è iper sollecitato sul piano degli aiuti e dei sussidi, e che il tasso di crescita può migliorare rapidamente in un contesto poco diseguale. L'impatto dei (numerosi) acquisti della classe media sul mercato è molto più forte di quello delle poche, ma più costose, spese dei paperoni. Per non parlare delle ricadute positive di un eventuale aumento dei consumi sul piano dell'occpazione e del debito pubblico. Quindi insomma, anche solo per semplici calcoli economici, sarebbe bene che la comunità internzionale cominciasse a impegnarsi davvero sul fronte della lotta alla povertà. Prima di rimanere travolta dalle conseguenze generate dalla sua stessa scarsa lungimiranza.

 

 

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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