Economia

Piove Austerity, governo ladro

Una volta, fino all’estate del 2008, non trovavi nessuno in giro che fosse disposto a fare due chiacchere di macroeconomìa, anzi se azzardavi alcune considerazioni di politica monetaria e fiscale le donne scappavano via e la cena tra amici si …Leggi tutto

Una volta, fino all’estate del 2008, non trovavi nessuno in giro che fosse disposto a fare due chiacchere di macroeconomìa, anzi se azzardavi alcune considerazioni di politica monetaria e fiscale le donne scappavano via e la cena tra amici si intristiva.

Ma da quando siamo entrati in crisi tutto è cambiato: oggigiorno nessuno è in grado di cambiarti una gomma ma tutti sanno come dovrebbe essere il mix di consumi, investimenti, tasse e spesa pubblica ottimale per far ripartire la crescita: il tassista, il fornaio, l’impiegato, il disoccupato, l’imprenditore italiano (tipo di imprenditore che si assume il rischio quando le cose vanno bene),  l’opinionista sui social, è tutto in salire di “lo so io” che nelle sue versioni più assertive diventa slogan del sabato pomeriggio in mezzo al rumore di qualche vetrina rotta.

Nessuno vuole l’austerity, in Italia, non certo per motivi futili o biecamente personali  ma per amore di scienza economica. La gente rifiuta l’austerity perché con l’austerity non c’è crescita economica, non cresce il PIL. La gente non è certo contro l’austerity perché sperava in quel posto di usciere in comune, bensì la sua posizione (della gente) serve a ricordarci – in modo disinteressatamente keynesiano* – che senza spesa pubblica cade il PIL, e con il calo del PIL cade l’idea stessa di progresso e felicità per tutti, in barba ai nascenti indici della decrescita del tipo don’t worry be happy.

Vogliamo ricordare qual’è la formula del Prodotto Interno Lordo (PIL)?

 

C + I + G + E – I = in Italia con le ultime batoste fa circa 1500 miliardi di euro

 

Dove le iniziali stanno per C (consumi delle famiglie) + I (Investimenti privati) + G (Governo, spesa del) + E (esportazioni) – I (importazioni)

E’ ovvio, leggendo la formuletta del PIL, che se il Governo diminuisce o non aumenta la spesa pubblica (la spesa del governo, il punto G) il PIL diminuisce o non aumenta per definizione: il no all’austerity è quindi una tautologìa, essendo la spesa pubblica uno degli addendi espliciti del PIL. E come ogni tautologìa è ininfluente per una discussione utile per il futuro. Bisognerebbe invece chiedersi del perché Herr Monti, il nostro Premier alla tedesca, che occhio e croce la formula del PIL la conosce benissimo (…), decida di non aumentare la spesa pubblica, cosa che gli farebbe fare bella figura presso i cittadini italiani e sventolare dati stabili sul rapporto debito/PIL a Bruxelles.

La formula del PIL è una convenzione economica (fatta per comodità, non è sempre la fotografia definitiva di un’economia) ed è statica, non incorpora cioè alcuni fattori esterni alle sue componenti in grado però di influenzarle in maniera decisiva nel lungo termine. In particolare il PIL non incorpora lo stock di debito pubblico di un paese, perché quando è stata inventata la macroeconomia, ai tempi di Keynes, il peso di tale variabile non era quello di oggi, potenzialmente distruttivo. Si pensava allora quello che l’economista Paul Krugman pensa oggi, cioè che essendo il debito pubblico un debito che il governo potrebbe anche non ripagare mai (perché in grado sempre di farlo ruotare tra vecchi e nuovi investitori), esso può variare a piacere e non dovrebbe influire sulle scelte manipolatorie del PIL.

Supponiamo invece di trovarci in uno stato di realtà, ampiamente dipinto dagli eredi dei grandi speculatori dell’Età Classica (i greci), quello in cui a un certo punto i risparmiatori di tutto il mondo smettono di prestarti i soldi perché temono che tu non li restituirai mai (in barba a Krugman). In questo stato di realtà se tu hai un debito/PIL troppo alto – chiamiamo questo fattore X – finisce che più provi a indebitarti per aumentare la spesa pubblica (G) più si diffonde il panico sui mercati che tu possa non restituirli: i risparmiatori saranno meno disposti a finanziarti questa spesa (G) e tu dovrai addirittura tagliare quella che già c’è perché non riesci a rifinanziarti.

Aiutiamoci con un dato reale, nel 2013 il Tesoro Italiano avrà bisogno di 440 miliardi per rifinanziare BOT e BTP a scadenza. 440 miliardi equivale a più della metà della spesa pubblica annuale (723 miliardi nel 2011). Supponiamo che il Governo per aumentare il PIL decidesse di alzare la spesa pubblica da 723 a 750 miliardi. Succederebbe che le prime aste di BTP e BOT del 2013 potrebbero andare deserte perché dall’estero potrebbero dire “basta e il Governo sarebbe addirittura costretto a tagliare la spesa pubblica corrispondente al mancato rifinanziamento, tipo ridurre da 723 a 700 altro che incrementarla a 750. Quindi “annunciare” o “cercare di aumentare” il PIL tramite l’addendo spesa pubblica potrebbe addirittura provocare l’effetto contrario, farlo scendere.

Tutto questo succederebbe perché quel fattore aggiuntivo, il fattore X (rapporto debito/PIL), l’X-Factor della crisi italiana, è oggi talmente rilevante da essere potenzialmente distruttivo.

Allora se riscrivessimo la formula del PIL così:

 

C + I + (1-X)G + E – I

 

forse capiremmo perché l’Austerity nello scenario europeo attuale non è oggi una scelta, un’opzione, ma un ostacolo dato che limita di fatto le scelte del governo attuale e di quelli futuri. Bisogna cercare altre strade. Che hanno a che fare con l’innovazione, con la produttività e altre cose.

Se quanto ho scritto non è abbastanza chiaro provate a guardare questo video e fate il calcolo: indebitarsi di 1 euro presso i risparmiatori tedeschi per pagare lo stipendio pubblico (G) a un assenteista che poi consuma andando a fare la spesa (C) vale non 1 euro di PIL, ma addirittura 2 euro! E quindi sarebbe un bene, secondo certi crismi in voga, ce ne vorrebbero molti di più.

Poi però c’è l’X-Factor.

 

*il disinteressato keynesiano dice le cose per noi, non per lui, le dice spolverandosi lievemente la spalla del soprabito, con la classe e quel filo di supponenza di un grande liberale di fine Impero

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Paolo Landi