Petrolio ai minimi, gli scenari possibili
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Economia

Petrolio ai minimi, gli scenari possibili

Lo shale gas come alternativa energetica riduce l'importanza e la credibilità dell'Opec, che potrebbe presto scomparire

Nonostante i prezzi del petrolio siano calati del 30 per cento in pochi mesi, i paesi Opec hanno deciso di non tagliare i livelli di produzione, condannando gli esportatori a registrare ulteriori riduzioni dei propri ricavi da greggio. Del resto, non è un caso che subito dopo aver annunciato la loro scelta il prezzo al barile abbia perso un'altra manciata di dollari, toccando con 68 il valore più basso degli ultimi quattro anni. 

Cosa sta succedendo sul mercato energetico mondiale, e soprattutto, in che modo quest'ultimo potrebbe tornare in equilibrio?   

L'Opec non riduce i livelli di produzione: chi ci guadagna?

Prima di rispondere a questa domada è necessario capire chi ha perso e chi ha guadagnato da questa decisione. I produttori di greggio africani e sudamericani sono, insieme alla Russia, i paesi che soffrono di più a fronte di ogni riduzione del prezzo del petrolio. Questo perché hanno bisogno di ricavi molto alti sia per sostenere i costri di estrazione e lavorazione delle rispettive risorse, sia per mantenere in piedi l'economia nazionale. 

Per i paesi arabi e i neo-protagonisti del mercato energetico, vale a dire Stati Uniti e Canada, gli unici produttori di shale gas, il compromesso raggiunto in Austria è certamente vantagioso. Attenzione però: per capire davvero come stanno le cose è fondamentale rendersi conto che quello di Vienna non è un vero compromesso, quanto una decisione presa dagli elementi più forti del cartello Opec, che a loro volta hanno potuto contare sull'appoggio esterno di Washington.

Perché il prezzo del petrolio è crollato

Abbiamo già scritto che ogni Paese, per sostenere il costo della propria spesa pubblica, ha bisogno che il petrolio che esporta abbia un certo prezzo al barile. Le uniche nazioni che possono permettersi di mantenere questo valore al di sotto dei 100 dollari sono quelle mediorientali, che hanno ritenuto oggi più conveniente accettare la riduzione dei profitti dovuta all'improvviso crollo dei prezzi piuttosto che perdere quote di mercato a favore dei nuovi protagonisti del mercato energetico. Alla base di questa riduzione, infatti, vi è da un lato il rallentamento della crescita globale innescato dalla crisi finanziaria che ha ridotto le necessità energetiche delle varie nazioni del mondo. A parità di produzione, quindi, la riduzione della domanda ha provocato una contrazione dei prezzi.

Questa, però, non è l'unica causa del crollo del prezzo del greggio. La seconda è il successo con cui Stati Uniti e Canada sono riusciti a potenziare le rispettive capacità di estrazione e lavorazione dello shale gas, al punto da ruscire a influenzare il mercato del petrolio. Washington e Ottawa si sono così trasformate nei nuovi rivali dei produttori tradizionali, che ora devono cercare di reagire perdendo il meno possibile.

L'Opec è destinata a perdere rilievo e credibilità

E' in questo quadro ben poco rassicurante che possiamo provare a capire come potrebbero cambiare gli equilibri energetici globali. Anzitutto, è ormai più che probabile che l'Opec, come cartello, diventi molto meno importante. Il compromeso di Vienna, che compromesso non è, dimostra come alcuni elementi del gruppo siano riusciti a prendere il sopravvento sugli altri. Avvalorando quindi la tesi di Thomas Friedman che, un paio di settimane fa, dalle colonne del New York Times aveva ipotizzato un accordo tra paesi arabi e Stati Uniti per indebolire i produttori di petrolio meno affidabili, come Russia e Iran.

Il punto è che Washington e Riyad hanno davvero la possibilità di farcela: le nazioni mediorientali si devono rendere conto che l'era del monopolio petrolifero si è ormai conclusa, che sul mercato esistono nuovi concorrenti, e che tra i vecchi fornitori sopravviveranno solo i più efficienti. Ecco perché questi ultimi non vogliono tagliare la produzione e preferiscono accontentarsi di ricavi più modesti: l'alternativa, per loro, sarebbe quella di perdere quote di mercato, che per ovvie ragioni sarebbe peggiore.

Il mercato energetico ai tempi dello shale gas

Se Canada e Stati Uniti stanno alterando gli equilibri del mercato del petrolio, l'unico modo per chi vuole continuare a dominarlo è quello di soffiare i mercati di esportazione ai paesi meno efficienti, ovvero quelli che, con costi al barile così bassi, non riusciranno a mantenere attivi i propri giacimenti.

Lo shale gas ha dimostrato di essere una valida alternativa al petrolio, ma è ancora ben lontano dal poterlo sostituire. Quindi tanto vale fare la voce grossa in ambito Opec e continuare a sopravvivere. In un contesto come quello attuale, i contrasti all'interno del cartello contribuiscono a far perdere valore e credibilità allo stesso, quindi tanto vale iniziare a cercare delle alternative. Accordandosi anche con gli Stati Uniti, se utile (e necessario). 

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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