Perché la parola di Draghi non basta più
Economia

Perché la parola di Draghi non basta più

“La Bce è pronta a fare tutto quel che serve per preservare l’euro. E credetemi, sarà abbastanza”. Gli hanno creduto. Sono bastate tre parole: whatever it takes. E la speculazione ha girato i tacchi. Era il 26 luglio 2012 quando …Leggi tutto

“La Bce è pronta a fare tutto quel che serve per preservare l’euro. E credetemi, sarà abbastanza”. Gli hanno creduto. Sono bastate tre parole: whatever it takes. E la speculazione ha girato i tacchi. Era il 26 luglio 2012 quando Draghi lanciava il suo messaggio davanti a un pubblico di banchieri, analisti, esperti, insomma di quelli che muovono i mercati. Un anno dopo, parlare non è più sufficiente.

Naturalmente, Draghi non si è limitato a bei discorsi. Ha varato l’Omt (Outright monetary transactions), il programma straordinario di acquisti diretti di titoli pubblici a breve termine, sul mercato secondario. Ha abbassato ancora i tassi e ha annunciato che li terrà al livello minimo per un lungo periodo. Ha rampognato le banche che non finanziano le piccole e medie imprese e, per scavalcarle, ha proposto finanziamenti diretti sul mercato sostenuti dalla banca centrale. Ha sfidato la Bundesbank che, infatti, si è schierata contro l’Omt, fino al punto da spalleggiare il ricorso presso la corte costituzionale tedesca (la sentenza è attesa e arriverà il mese prossimo).

In questo anno, l’euro è rimasto solido rispetto al dollaro e alle altre grandi valute (anzi semmai un po’ troppo alto), lo spread tra i titoli decennali tedeschi e quelli dell’Italia si è ridotto, le politiche di austerità hanno continuato a comprimere i disavanzi pubblici e anche l’economia reale. L’intera area euro è in recessione, la Germania chiuderà il 2013 con il segno più, ma con una crescita anemica, da zero virgola. Oggi il rischio non è che la moneta unica crolli per l’attacco della iperfinanza, ma che cada sotto uno tsunami di malessere sociale, instabilità politica, disincanto. L’autunno dello scontento potrà provocare più danni, profondi, di lungo periodo, delle tempeste borsistiche estive.

Il fatto è che la Bce, sia pur divisa al suo interno, sembra rimasta l’unica a fare tutto quel che serve per preservare l’euro. Il ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, in un rassicurante articolo sulla Stampa ha ribadìto l’impegno del proprio governo e del paese, ma ha messo le mani avanti: siamo disposti a difendere l’unione monetaria, nella misura in cui non crea svantaggi ai contribuenti e ai consumatori del suo paese. Legittimo, però inutile negare che suona minaccioso. E come lui la pensano in molti tra le formiche del nord e tra le cicale del sud. Un ulteriore anno di recessione e impoverimento forse migliora i bilanci pubblici dei paesi meridionali, certo peggiora la tenuta democratica.

E’ probabile che Draghi sia indotto a usare l’Omt (sempre che non esca strapazzato da Karlsruhe). Portogallo e Irlanda, paesi già sotto tutela, sono i primi candidati. Se chiederanno aiuto dovranno sottoporsi a una cura ancor più drastica. Ma inutile girarci intorno: la prova del nove riguarda l’Italia. Nel momento in cui uno dei piccoli paesi in difficoltà alzerà bandiera bianca, le Sturmtruppen s’avventeranno sulle Alpi. E a quel punto, davvero, sarà guerra totale. Scenari da tregenda, eppure realistici, se si guarda al comportamento dei governi.

La Germania è paralizzata in attesa delle elezioni. Vincerà ancora Angela Merkel, ma senza maggioranza: i liberali, già dissanguati, si stanno sfilando. Una Grosse Koalition oggi, in un paese fortemente dilaniato sul proprio futuro, non darà certo stabilità, a differenza da quel che accadde tra il 2005 e il 2009. La Francia è in crisi profonda, le sue finanze pubbliche sono fuori controllo, il governo non ha una seria strategia e reagisce con le chiacchiere: polemizza contro l’austerità, poi si chiude a difesa dei propri interessi nazionali. Dunque, non è in grado di fare alcun passo avanti verso una maggiore integrazione. Gli altri paesi hanno poca voce in capitolo. E’ probabile che l’unione bancaria venga ancora rinviata (ciascuno vuol difendere e salvare le proprie banche o meglio sarebbe chiamarle bancomat del potere, locale e nazionale). A quel punto, l’euro sarà minacciato dall’interno e davvero bisognerà mettere in campo tutto quel che serve per difenderlo. Ma la Bce, da sola, non sarà più in grado di fare nulla, né con le parole né con l’azione. Perché la moneta unica sta già tornando una questione politica, come lo era al momento della sua nascita. E la risposta dovrà essere politica.

 

 

 

 

 

 

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Stefano Cingolani

Stefano Cingolani, nasce l'8/12/1949 a Recanati e il borgo selvaggio lo segna per il resto della vita. Emigra a Roma dove studia filosofia ed economia, finendo a fare il giornalista. Esordisce nella stampa comunista, un lungo periodo all'Unità, poi entra nella stampa dei padroni. Al Mondo e al Corriere della Sera per sedici lunghi anni: Milano, New York, capo redattore esteri, corrispondente a Parigi dove fa in tempo a celebrare le magnifiche sorti e progressive dell'anno Duemila.

Con il passaggio del secolo, avendo già cambiato moglie, non gli resta che cambiare lavoro. Si lancia così in avventure senza rete; l'ultima delle quali al Riformista. Collabora regolarmente a Panorama, poi arriva Giuliano Ferrara e comincia la quarta vita professionale con il Foglio. A parte il lavoro, c'è la scrittura. Così, aggiunge ai primi due libri pubblicati ("Le grandi famiglie del capitalismo italiano", nel 1991 e "Guerre di mercato" nel 2001 sempre con Laterza) anche "Bolle, balle e sfere di cristallo" (Bompiani, 2011). Mentre si consuma per un volumetto sulla Fiat (poteva mancare?), arrivano Facebook, @scingolo su Twitter, il blog www.cingolo.it dove ospita opinioni fresche, articoli conservati, analisi ponderate e studi laboriosi, foto, grafici, piaceri e dispiaceri. E non è finita qui.

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