Perché i parametri del patto di stabilità devono essere violati
Economia

Perché i parametri del patto di stabilità devono essere violati

A conclusione del recente Consiglio europeo, il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha rinfacciato alla Germania di avere, nel 2003, chiesto e ottenuto uno sforamento temporaneo dei parametri che ingabbiano i bilanci pubblici entro il 3% del rapporto deficit/Pil …Leggi tutto

Gerhard Schroeder, ex cancelliere tedesco (GettyImages)

 

A conclusione del recente Consiglio europeo, il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha rinfacciato alla Germania di avere, nel 2003, chiesto e ottenuto uno sforamento temporaneo dei parametri che ingabbiano i bilanci pubblici entro il 3% del rapporto deficit/Pil dicendo al Cancelliere Angela Merkel che l’Italia, al contrario, rispetterà tutti i patti. Ha poi aggiunto che i Paesi che “fanno le riforme” devono poter contare su una maggiore flessibilità nell’interpretazione delle regole del “patto di stabilità e crescita” (peraltro complicatissime e interpretabili in qualsiasi modo). A parte il fatto che, come ampiamente dimostrato, ulteriore flessibilità non ci sarà concessa se non in misura infinitesimale (Tito Boeri parla di meno di 5 miliardi in più), le due affermazioni sono contraddittorie.

Nel 2003 la Germania (insieme alla Francia) ottenne la sospensione della procedura d’infrazione per deficit eccessivo (6 miliardi), è vero, ma quello fu l’anno nel quale l’allora cancelliere, socialista, Gerhard Schröder (in foto) iniziò a ribaltare la Germania introducendo riforme del mercato del lavoro, del fisco e della sanità di fronte alle quali quelle varate finora dal governo Renzi semplicemente scompaiono.

Tra i punti della riforma di Schröder, chiamata Agenda 2010, ci fu un taglio di 2 punti in 2 anni del contributo sanitario gravante sugli stipendi, una riduzione delle prestazioni assistenziali e un aumento dei ticket sanitari per un risparmio di 20 miliardi di euro per il bilancio pubblico. Ha ridotto a 12 mesi il periodo massimo per il quale una persona può ottenere un sussidio di disoccupazione e ha completamente ridisegnato il ministero del Lavoro facendolo funzionare come un’agenzia privata di collocamento dove gli impiegati diventavano responsabili in prima persona del curriculum lavorativo di un disoccupato al quale avevano il potere di togliere il sussidio nel caso di reiterati rifiuti di nuovi impieghi. I centri per l’impiego sono diventati punti di risoluzione dei problemi delle persone in difficoltà: dai debiti con le banche alla lista d’attesa per un alloggio pubblico, dai problemi sanitari alla tossicodipendenza. In questo percorso di assistenza i padri di famiglia hanno avuto una corsia preferenziale ma se perdevano il lavoro senza avvisare immediatamente il centro per il lavoro perdevano tutte le indennità previste. Schröder ha avuto il coraggio di assegnare un sussidio di disoccupazione differenziato: 345 euro per i tedeschi dell’Ovest e 331 per i tedeschi dell’Est riconoscendo che nella Germania dell’Est il costo della vita continuava ad essere più basso di quello della Germania dell’Ovest. Ha varato una riforma fiscale riducendo il prelievo sul primo scaglione di reddito dal 19,9% al 15% e dal 48,5 al 42% per l’ultimo lasciando nelle tasche dei cittadini tedeschi 21,8 miliardi di euro in più (altro che 80 euro) e ha finanziato questo taglio delle tasse con una riduzione drastica dei sussidi alle imprese e con privatizzazioni. Ha dato facoltà ai comuni di aumentare le tasse locali per coprire i deficit e ha eliminato i tirocini obbligatori e gli stage per 65 professioni permettendo ai giovani che sapevano fare un mestiere, ma non avevano l’abilitazione dell’ordine, di aprire comunque la loro attività. Ha aumentato l’età pensionabile (da 65 a 67) riducendo l’assegno di quiescenza dal 48% al 40,1% dell’ultimo stipendio. Contemporaneamente ha investito ulteriori 4 miliardi nell’istruzione e ha sgravato le imprese dal pagamento di una parte delle tasse se assumevano persone (finanziando il lavoro, non la disoccupazione) e stabilendo che un lavoratore temporaneo deve avere la stessa paga di un lavoratore a tempo pieno.

Le riforme provocarono proteste furiose ma Schröder si battè come un leone contro la sinistra del suo partito (che se ne andò guidata da Oskar Lafontaine), i sindacati, i tedeschi dell’Est, l’opposizione parlamentare e anche contro gli economisti che pronosticavano l’esplosione dei tassi dei bund, un futuro da Repubblica di Weimar e, addirittura, la fine dell’Europa. Il risultato è che negli anni successivi la spesa pubblica per il welfare è aumentata, con grande scorno dei burocrati di Bruxelles, ma il Pil si è impennato e i disoccupati sono scesi dai 4,8 milioni del 2005 ai 2,2 di oggi.

Ovvio che non tutte le riforme di Schröder possono o devono essere replicate oggi in Italia: sulle pensioni, ad esempio, abbiamo già dato e dopo la riforma Fornero gli italiani vanno in pensione dopo i tedeschi, ma ciò che è importante è che all’epoca Schröder ha avuto il coraggio politico di mettere il proprio nome e quello del partito socialista (che infatti non ha più vinto) dopo il bene della Germania. Questo è il livello di coraggio che occorre oggi all’Italia. Quindi delle due l’una: se Renzi intende pagare tutti i debiti della pubblica amministrazione, introdurre il sussidio di disoccupazione universale (abolendo la cassa integrazione) e abbassare drammaticamente le tasse sulle imprese (abolendo l’Irap), cofinanziare i fondi strutturali Ue, i parametri europei devono essere sforati. Se, al contrario, insiste nel sostenere di non volerlo fare ingenera nei partner e negli italiani il fondato sospetto che questo tipo di riforme davvero epocali, non siano scritte nella sua agenda di governo. In questo senso non è vero ciò che ha detto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Delrio, e cioè che l’Italia non chiederà si sforare i parametri “per evitare sospetti e risolini in Europa”. E’ vero il contrario: sospetti e risolini in Europa ci sono e ci saranno se il governo pensa far credere all’Europa che la legge del ministro Marianna Madia sulla Pubblica Amministrazione sia una riforma.

C’è solo una curiosità che nessuno mi ha ancora soddisfatto. Quando Renzi, con l’aria da bulletto, ha detto alla Merkel che l’Italia non farà come la Germania, che cosa ha risposto la Merkel? Mi piace immaginarli in quel momento: soli, in una stanza, in piedi. Renzi ha le mani protese in avanti in un gesto conciliatorio, sgrana gli occhi e dice: “Noi, signora Cancelliere, non sforeremo mai i parametri europei, come avete fatto voi nel 2003”. La Merkel resta impassibile fasciata dalla sua giacchetta viola, le spalle appena sfiorate dal caschetto di capelli biondi sempre un po’ elettrici che le danno una  vaga aria isterica. Dopo aver fatto passare qualche interminabile secondo le labbra sottili di allargano in un sorriso che solo acide professoresse di latino hanno e dice, calma: “Ma lei non è Gerhard Schröder”.

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Marco Cobianchi

Sono nato, del tutto casualmente, a Milano, ma a 3 anni sono tornato a casa, tra Rimini e Forlì e a 6 avevo già deciso che avrei fatto il giornalista. Ho scritto un po' di libri di economia tra i quali Bluff (Orme, 2009),  Mani Bucate (Chiarelettere 2011), Nati corrotti (Chiarelettere, 2012) e, l'ultimo, American Dream-Così Marchionne ha salvato la Chrysler e ucciso la Fiat (Chiarelettere, 2014), un'inchiesta sugli ultimi 10 anni della casa torinese. Nel 2012 ho ideato e condotto su Rai2 Num3r1, la prima trasmissione tv basata sul data journalism applicato ai temi di economia. Penso che nei testi dei Nomadi, di Guccini e di Bennato ci sia la summa filosofico-esistenziale dell'homo erectus. Leggo solo saggi perché i romanzi sono frutto della fantasia e la poesia, tranne quella immortale di Leopardi, mi annoia da morire. Sono sposato e, grazie alla fattiva collaborazione di mia moglie, sono papà di Valeria e Nicolò secondo i quali, a 47 anni, uno è già old economy.

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