Perché gli immigrati trovano lavoro e gli italiani no
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Economia

Perché gli immigrati trovano lavoro e gli italiani no

Lo dice il Ministero del Lavoro: da gennaio a giugno il numero degli occupati italiani diminuiva dello 0,7%. Quello degli stranieri aumentava del 3,7%

I dati allarmanti diffusi dall’Istat sull’aumento della disoccupazione dicono che l’incapacità di creare posti di lavoro resta una delle debolezze più gravi dell’economia italiana. Ma ancor più dei numeri generali è importante guardare ai singoli elementi che li compongono. Una delle distinzionie da fare è fra lavoratori italiani e stranieri: mentre i primi diminuiscono sistematicamente da anni, i secondi aumentano, anche in modo abbastanza consistente. Vuol dire che la crescita della disoccupazione (0,3 per cento in più a ottobre rispetto a settembre e 1 per cento in più rispetto a ottobre dello scorso anno) denunciata dall’ultima rilevazione esprime quasi certamente la media fra un gruppo in cui la disoccupazione diminuisce (gli immigrati) e un altro in cui aumenta più di quel che dicono le statistiche generali (gli italiani).

L’espressione “quasi certamente” è dovuta al fatto che per gli ultimi mesi l’Istat fornisce solo il dato complessivo e non le sue singole componenti. Quelle ci saranno solo fra qualche mese. Ma per capire quale sia la tendenza ci si può basare sulle rilevazioni del primo semestre di quest’anno (in linea con quelli dei due anni precedenti) analizzate in dettaglio dal Ministero del Lavoro nella Nota semestrale sul mercato del lavoro degli immigrati in Italia.

Viene fuori che da gennaio a giugno 2014, mentre il numero degli occupati italiani diminuiva dello 0,7 per cento quello degli stranieri è aumentato del 3,7 (risultato medio: -0,2 per cento). Paradossalmente il fenomeno è marcato soprattutto nelle regioni meridionali, dove si concentra il maggior numero di disoccupati. Qui, a fronte di una diminuzione degli occupati italiani pari al 2,2% c’è stato un aumento del 14,8% degli occupati immigrati extracomunitari e del 2,9 di quelli comunitari.

Questa divaricazione fra l’andamento dell’occupazione dei “nativi” e quello degli immigrati rappresenta un’eccezione dell’Italia rispetto ai maggiori paesi europei. Anche in Germania, in Francia o in Gran Bretagna gli immigrati si mostrano più vivaci della popolazione originaria dal punto di vista lavorativo. Se l’occupazione generale cresce i loro posti di lavoro aumentano un po’ di più e se cala diminuiscono un po’ meno degli altri. Ma in nessuno altro paese le due popolazioni procedono in direzioni diametralmente opposte come accade da noi, con una riduzione dei posti di lavoro degli italiani e in parallelo un aumento di quelli degli immigrati.

Da questa lettura “spacchettata” dei dati generali si possono trarre diversi insegnamenti. Il primo è che gli immigrati danno un apporto tutt’altro che trascurabile al nostro mercato del lavoro, che senza il loro contributo calerebbe molto di più. “Nella componente straniera” si legge nella Nota del Ministero “si rivela una più efficace capacità di sfruttare i lievi segnali positivi registrati dagli indicatori, soprattutto se posta a confronto con la componente nativa”. In altre parole gli immigrati sono più pronti degli italiani a cogliere al balzo le nuove opportunità, anche perché spesso i lavori disponibili sono quelli di più basso livello che gli italiani non vogliono più fare. Ma questo non significa che si tratti di lavoretti occasionali e irregolari. Nella maggior parte dei casi sono assunzioni a tempo indeterminato.

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Stefano Caviglia