Perché Angela Merkel ora vuole meno austerity
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Economia

Perché Angela Merkel ora vuole meno austerity

Il cambio di linguaggio del cancelliere tedesco è dovuto al malcontento in Germania e alla reputazione in calo in Europa. Ma non è comunque disposta a concedere molto

I fanatici del rigore fiscale possono dormire sonni tranquilli. Il cancelliere tedesco Angela Merkel non lascerà che l'indisciplina regni sovrana nella zona euro. Ma, stando a quanto riportano i media italiani, sembra che la novità sia la presunta apertura della Germania a una maggiore flessibilità di bilancio. Niente di più falso. L'attuale architettura del Fiscal Compact lascia già diversi spazi di manovra nel caso un Paese si trovi nel mezzo di una significativa recessione economica, senza violare i trattati europei né mutarli.

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Il cambio di passo, di contro, è nella dialettica della Merkel, così come del suo staff. La prima, vera inversione di rotta è arrivata quasi un anno fa. Era la vigilia delle elezioni tedesche, previste per il 22 settembre 2013. Il portavoce della Merkel, lo stesso Steffen Seibert che in questi giorni ha fatto sognare buona parte dell'Italia ripetendo sempre il solito mantra della maggiore flessibilità dell'attuale patto fiscale, parlò per la prima volta di una nuova concezione del Fiscal Compact. A quasi quattro anni di distanza dall'inizio della crisi ellenica, che poi ha trascinato con sé mezza eurozona, si doveva cambiare passo. Non solo per far contento l'elettorato tedesco, in cui stava crescendo il dubbio che la Merkel non stesse facendo le cose al meglio, ma anche per aumentare la capacità negoziale in ambito europeo.

I motivi di questo cambio di regime sono almeno due. Da un lato, come abbiamo visto, il malcontento in patria. I liberal-democratici e i socialisti tedeschi, a forza di andare contro (seppure con modi e argomentazioni differenti) il cancelliere Merkel sul fronte dell'austerity, stavano guadagnando terreno. Arginare la loro avanzata, così come quella dei partiti euroscettici, era una priorità.

Dall'altro lato, c'era la reputazione in Europa. Il fronte contro il rigorismo estremo della Germania, fra la metà del 2012 e il 2013, è arrivato al suo apice. Quando ha cominciato a minare la credibilità, ma anche la popolarità della Germania, il vento è cambiato. Concedere una lettura più estensiva dei trattati ora per avere una più ampia disciplina dopo. È questo il concetto utilizzato dagli spin doctor della Merkel. Del resto, gli sforzi fatti da alcuni Paesi, Grecia e Portogallo su tutti, sono stati tali da concedere questa visione così diversa dal recente passato.

Alla base di tutto, in realtà, c'è una narrazione della crisi completamente errata. Sia la Germania sia la Commissione europea, nella fase più dura della crisi, hanno quasi esclusivamente parlato di ciò che serviva per uscire dalle sabbie mobili nel breve periodo, non nel lungo. E nel breve, lo si è visto in Grecia così come in Portogallo, l'aggiustamento di bilancio doveva essere profondo. Allo stesso tempo, però, le iniziative per il rilancio della domanda interna sono state poche e minori delle aspettative.

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La conseguenza era una possibile crescita nel rischio di disordini sociali nei Paesi in questione e una perdita di popolarità della Germania in ambito comunitario.
Maggiore flessibilità, pur rispettando i patti esistenti, non è impossibile. Basti pensare a Francia e Spagna, che hanno ottenuto più tempo per il rientro del deficit, in un contesto nel quale il rapporto col Pil però rimane fisso a quota 3%. Così come il target del debito, sempre in correlazione al Pil, deve essere del 60%. Tuttavia, i vantaggi della flessibilità del Fiscal Compact sono arrivati anche verso l'Italia. Come ricorda una fonte diplomatica italiana, "le raccomandazioni della Commissione Ue arrivate a inizio mese non fanno che confermare questo cambio di rotta. Se si legge fra le righe, anche all'Italia sono state concesse tempistiche più lasse per l'aggiustamento del deficit e, soprattutto, del debito pubblico". Merito, se così si può dire, del particolare ciclo economico in cui versa l'Italia, fra lieve crescita e bassa inflazione. Ulteriori concessioni non sono previste, nonostante gli sherpa della presidenza italiana dell'Unione europea stiamo lavorando alacremente per questo.

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Rigore meno dogmatico e più tempo per rimettere a posto i conti e fare i compiti a casa. Questo è il massimo che è disposta a concedere la Merkel. La paura di vedere uno scenario simile a quello che ha preceduto la peggiore crisi dalla nascita dell'euro, fra Paesi quasi insolventi e altri totalmente indisciplinati dal punti di vista fiscale, è troppa.

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Fabrizio Goria

Nato a Torino nel 1984, Fabrizio Goria è direttore editoriale del sito di East, la rivista di geopolitica. Scrive anche su Il Corriere della Sera e Panorama. In passato, è stato a Il Riformista e Linkiesta e ha scritto anche per Die Zeit, El Mundo, Il Sole 24 Ore e Rivista Studio. È stato nominato, unico italiano, nella Twitterati List dei migliori account Twitter 2012 da Foreign Policy.

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