Perché Amazon non fa profitti
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Economia

Perché Amazon non fa profitti

Con una capitalizzazione di mercato di 166 miliardi di dollari e vendite in continuo aumento, l'azienda di Jeff Bezos dovrebbe rinunciare all'innovazione per accumulare dividendi

Per diventare un gigante dell'Information Technology, Amazon è partita da lontano. Dopo essere diventata il punto di riferimento per eccellenza delle vendite online, oggi anche per tablet ed e-reader, Amazon ha finito con l'essere attivissima persino sui servizi di tecnologia cloud. Eppure, per quanto le vendite crescano a ritmi vertiginosi, i profitti, dopo oltre vent'anni di attività, stentano ad arrivare.

L'azienda fondata nel 1994 da Jeff Bezos vanta oggi una capitalizzazione di mercato di 166 miliardi di dollari, quasi sessantamila in più rispetto alla fine dello scorso anno, ma nel primo quadrimestre del 2013 ha accumulato perdite nette per 41 milioni di dollari.

Nonostante questo, gli investitori amano Amazon. Essenzialmente perché non ha mai smesso di crescere a ritmi iper accellerati nonostante siano passati ormai vent'anni da quando è comparsa sul mercato, ma sono preoccupati perché, alla fine, è quanto meno anomalo che un'azienda con l'esperienza e il successo di Amazon non riesca a incamerare profitti.

Il motivo? Per alcuni è legato alle dimensioni, quindi al fatto che l'azienda non sia ancora abbastanza grande, per altri al non essere riuscita a conquistre una fetta di mercato abbastana significativa da spiazzare la magor parte dei suoi stessi concorrenti. Cerchaimo di capire il perché.

1) Una grossa fetta di economisti ritiene che solo dopo essere diventata sufficientemente grande un'azienda può permettersi di migliorare il proprio rendimento dal punto di vista dell'efficienza e, di conseguenza, aumentare i profitti. Amazon, però, preferisce premere su innovazione, nuovi prodotti e competitività, in un momento in cui, nel suo settore, mantenere standard elevati da questo punto di vista è costosissimo. E così restano poche risorse da destinare a nuovi progetti di espansione (sempre, è bene precisarlo, in un'ottica relativa). E' ormai noto a tutti che i consumatori di prodotti tecnologici badano più al prezzo che alla qualità, anche perché capita con sempre maggiore frequenza di imbattersi in operatori in grado di fornire servizi tutto sommato equivalenti a costi sempre più contenuti.

2) Tanti altri, invece, pensano che l'accumulo dei profitti sia possibile solo dopo aver eliminato la concorrenza. Perché solo una volta ottenuto questo risultato è realistico aumentare i margini di guadagno. Ancora una volta, basta poco per rendersi conto che Amazon non solo non ci è riuscita, ma difficilmente sarà in grado di farlo nel prossimo futuro. Per capirlo basta pensare a quante possibilità alternative ad Amazon ancora esistono per acquistare libri ed e-book.  

I (mancati) profitti di Amazon fanno quasi pensare che esista un trade-off tra innovazione e ricavi. A confermarlo il caso "BlackBerry", passato in pochissimo tempo da leader a nano dello stesso mercato, per colpa di una concorrenza che lo ha sconfitto prima che fosse in grado di trovare un'alternativa con cui continuare a contrastarla.

Gli ultimi dati relativi alla performance di Amazon non lasciano certo pensare che possa fare la fine di BlackBerry: le vendite del terzo quadrimestre 2013 hanno superato i 17 miliardi di dollari, più di tre miliardi in più rispetto allo stesso periodo nel 2012. Ma anche le spese operative sono aumentate più o meno dello stesso ammontare. E così la crescita dei profitti del 23,8 per cento è stata praticamente annullata da quella delle spese (+23,7). 

Gli investitori che continuano a credere in Amazon sono convinti che, un giorno, Jeff Bezos la smetterà di mettere continuamente nuovi prodotti sul mercato e si dedicherà al consolidamento della posizione dell'azienda, e che la "rinuncia" all'innovazione porterà i profitti alle stelle. Tanti altri, però, temono che una scelta di questo tipo la compagnia verrà velocemente messa ai margini del mercato, cosa che comporterà, nel lungo periodo, un aumento delle perdite più che dei ricavi.

 

 

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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