Pensioni d'oro: due strade per tagliarle davvero
Economia

Pensioni d'oro: due strade per tagliarle davvero

Le soluzioni studiate dal governo per reintrodurre il contributo di solidarietà sugli assegni Inps sopra i 90mila euro, già bocciato dalla Consulta

Uscito dalla porta, rientrerà dalla finestra. E' quello che potrebbe capitare presto al contributo di solidarietà sulle pensioni d'oro, appena bocciato dalla Corte Costituzionale, con una sentenza che fa molto discutere.

PENSIONI D'ORO E PENSIONI DA FAME

In particolare, la Consulta ha dichiarato illegittimi i provvedimenti adottati in materia previdenziale, tra il 2011 e il 2012, da ben due governi diversi. Il primo è quello guidato da Silvio Berlusconi che ha introdotto un contributo straordinario del 5% sulle quote di pensioni che oltrepassano i 90mila euro lordi, a cui è stato aggiunto un altro prelievo del 10% sulla parte di assegno sopra i 150mila euro. Alla fine del 2011, il governo Monti ha poi introdotto un ulteriore contributo di solidarietà del 15%, sulle rendite più alte di 200mila euro.

PENSIONI D'ORO. VIETATO TAGLIARLE

Lo scopo di entrambe i provvedimenti era portare un po' di equità nel sistema pensionistico italiano, chiedendo sacrifici anche a chi incassa dei vitalizi molto alti. Poi, però, è arrivata la discussa sentenza della Corte Costituzionale che, accogliendo alcuni ricorsi, ha imposto all'attuale governo di azzerare tutto, cioè di togliere questi “balzelli” e di restituire ai pensionati i soldi già trattenuti sui loro assegni, durante i mesi scorsi.

Secondo la Consulta, infatti, il contributo di solidarietà è un prelievo di natura tributaria, cioè deve essere assimilato a una tassa che, come tale, va applicata seguendo due principi. Il primo è quello contenuto nell'articolo 3 della Costituzione che dice che tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge e hanno pari dignità sociale. Il secondo principio è invece quello stabilito dall'articolo 53, in base al quale ogni italiano deve versare una quantità di imposte in proporzione alla propria capacità contributiva. Chi guadagna di più, insomma, deve pagare più tasse e non è ammissibile che un pensionato che incassa dall'Inps una determinata cifra, debba subire un prelievo fiscale più alto di un lavoratore dipendente o autonomo che dichiara lo stesso reddito. In parole povere, secondo la Consulta, non si possono usare due pesi e due misure: o si tassano tutti i redditi alti in ugual misura, o non si tassa nessuno.

LE PENSIONI D'ORO E I POSSIBILI TAGLI

Preso atto di questo pronunciamento della Corte, il governo Letta sembra però intenzionato ad andare avanti sulla strada seguita dai suoi predecessori. Come ha ribadito nei giorni scorsi il sottosegretario al lavoro, Carlo Dell'Aringa, le pensioni d'oro andranno comunque tagliate. In che modo? Per evitare di incagliarsi ancora nelle sentenze della Consulta, si possono in teoria seguire due strade. La prima consiste proprio nel chiedere il contributo di solidarietà non soltanto a chi è in pensione ma a tutti i cittadini che dichiarano un reddito superiore a 90mila euro lordi all'anno. Si tratta in totale di mezzo milione di persone, che sono per oltre il 90% lavoratori ancora attivi, mentre meno del 10% è rappresentato da pensionati. Un provvedimento del genere otterrebbe il via libera della Corte ma comporterebbe un aumento della pressione fiscale sui redditi da lavoro (seppur soltanto sui redditi più alti) che in Italia sono già tartassati a tutti livelli.

In alternativa, il governo potrebbe adottare un altro escamotage: invece di tagliare gli assegni d'oro, potrebbe decidere di non rivalutarli più in base all'inflazione, come avviene ogni anno in condizioni normali (anche se oggi la rivalutazione è sospesa temporaneamente, per decisione del governo Monti). Per legge, infatti, l'importo degli assegni erogati dall'Inps cresce ogni anno di una quota compresa tra il 75% e il 100% del costo della vita, secondo lo schema seguente: le pensioni fino a 1.400 euro mensili vengono rivalutate dell'intera inflazione, mentre la parte di assegno compresa tra 1.400 e 2.400 euro cresce a un tasso corrispondente al 90% del caro-prezzi. Infine, la parte di pensione che oltrepassa i 2.400 euro mensili (per chi ha la fortuna di incassarla) si rivaluta soltanto del 75% dell'inflazione. Ora, per chiedere un sacrificio ai pensionati d'oro, il governo potrebbe rimodellare tutte queste aliquote, cercando appunto di penalizzare ulteriormente gli assegni alti.

Come ha suggerito Giuliano Cazzola, ex-deputato del Pdl nella scorsa legislatura (poi passato alla Lista Monti), la rivalutazione in base all'inflazione potrebbe scendere addirittura al 50% non appena l'assegno pensionistico supera la soglia dei 4-5mila euro lordi mensili, per poi annullarsi del tutto quando la rendita raggiunge importi elevatissimi. In questo caso, ai pensionati d'oro verrebbe chiesto un sacrificio, senza imbattersi in qualche altra discussa e discutibile sentenza della Corte Costituzionale.

PENSIONI SEMPRE PIU' MAGRE

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Andrea Telara

Sono nato a Carrara, la città dei marmi, nell'ormai “lontano”1974. Sono giornalista professionista dal 2003 e collaboro con diverse testate nazionali, tra cui Panorama.it. Mi sono sempre occupato di economia, finanza, lavoro, pensioni, risparmio e di tutto ciò che ha a che fare col “vile” denaro.

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