Pensioni, cosa cambierà con la riforma di Giovannini
Economia

Pensioni, cosa cambierà con la riforma di Giovannini

Il governo studia le modifiche alla legge Fornero, per consentire di ritirarsi dal lavoro a 62 anni, ma con una penalizzazione sull'assegno

Dopo il lavoro, le pensioni. Nell'agenda di politica economica del governo Letta, sta per aprirsi un nuovo capitolo: la possibile revisione dell'ultima riforma previdenziale, approvata nel 2011 dal governo Monti, con la regia dell'ex-ministro del welfare, Elsa Fornero.

LA RIFORMA DELLE PENSIONI DI ELSA FORNERO

La legge Fornero, come è ben noto, ha spostato molto in avanti l'età del pensionamento, fissandola in linea generale sopra i 66 anni per tutti (anche se le donne lavoratrici autonome e le dipendenti del settore privato si adegueranno ai nuovi requisiti in maniera graduale, entro il 2018). Sono regole che l'attuale ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, ha sempre considerato un po' troppo rigide e non ha mai fatto mistero di volerle cambiare, per renderle più flessibili. Lo scopo del ministro è di evitare in futuro la creazione di un nuovo esercito di esodati, cioè di lavoratori anziani ultrasessantenni che, dopo essere rimasti disoccupati, non possiedono ancora i requisiti per accedere al pensionamento, proprio a causa dei rigidi parametri fissati dall'ultima riforma previdenziale.

LA PROPOSTA DAMIANO

Giovannini non ha però ancora scoperto le carte su quali modifiche alla legge Fornero verranno messe in cantiere dal governo (probabilmente a settembre), anche se è già stato comunque indicato un punto di partenza. La base per attuare questa “controriforma previdenziale” sarà lo schema contenuto in una proposta di legge presentata già da tempo dai deputati del Partito Democratico e che ha come primi firmatari Cesare Damiano, Pierpaolo Baretta e Maria Luisa Gnecchi. Si tratta di un provvedimento di pochi articoli che mantiene a 66 anni l'età necessaria per avere la pensione piena ma consente di ritirarsi dal lavoro anche prima, cioè a 62 anni di età, purché siano stati accumulati 35 anni di contribuzione. In questo caso, però, sono previste delle penalizzazioni sull'assegno, che si basano su un sistema di incentivi e di disincentivi. Nello specifico, la rendita previdenziale che maturerebbe a 66 anni viene tagliata di un importo del 2%, per ogni anno di pensionamento anticipato, fino a un massimo dell'8%.

Il meccanismo è il seguente: chi si ritira a 65 anni subisce un taglio della pensione di due punti percentuali, che salgono al 4% se il congedo dal lavoro avviene a 64 anni e al 6% se il lavoratore sceglie di mettersi a riposo a 63 anni. La penalizzazione massima si ha invece a 62 anni, con una sforbiciata dell'8% all'assegno. Inoltre, sempre secondo la proposta Damiano-Baretta-Gnecchi, è possibile andare in pensione anche con 41 anni di servizio, indipendentemente dall'età, in modo da tutelare i lavoratori precoci, che hanno iniziato la carriera molto presto. Oggi, con la riforma Fornero, è possibile il ritiro anticipato con circa 41 anni e mezzo di contributi per le donne e con 42 anni e mezzo per gli uomini, a prescindere dall'età, anche se sono previste delle penalizzazioni per chi non ha ancora compiuto i 62 anni.

GLI ASSEGNI ANTICIPATI

Contemporaneamente, sempre secondo lo schema della proposta Damiano, sono previsti degli incentivi per chi resta al lavoro per più tempo, pur avendo superato la soglia dei 66 anni di età. In questo caso, il sistema dei bonus è identico a quello dei tagli, con un aumento dell'assegno del 2% ogni 12 mesi in più di permanenza in servizio, fino alla soglia massima dei 70 anni. Non è detto, però, che il governo scelga di copiare pari pari la proposta di legge presentata dai 3 deputati del Pd. Il sottosegretario al Lavoro, Carlo Dell'Aringa, ha fatto intendere che questo provvedimento potrebbe essere circoscritto soltanto ad alcune categorie di lavoratori particolarmente bisognosi, come appunto gli esodati, senza essere applicato su larga scala. Va ricordato, infatti, che la legge Fornero garantirà dei risparmi di spesa di circa 80 miliardi di euro entro il 2021, una cifra che rischia di venir meno, se vi sarà un cambiamento significativo delle regole previdenziali. Anche per le pensioni, come per il lavoro, il governo Letta non sembra dunque intenzionato ad allargare troppo i cordoni della borsa.

IL REBUS DELLE RICONGIUNZIONI

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Andrea Telara

Sono nato a Carrara, la città dei marmi, nell'ormai “lontano”1974. Sono giornalista professionista dal 2003 e collaboro con diverse testate nazionali, tra cui Panorama.it. Mi sono sempre occupato di economia, finanza, lavoro, pensioni, risparmio e di tutto ciò che ha a che fare col “vile” denaro.

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