Le nove frasi che un buon capo non deve mai pronunciare
Economia

Le nove frasi che un buon capo non deve mai pronunciare

'Ti pago lo stipendio. Devi fare quello che dico io' è solo una delle espressioni da evitare per sbagliare strategia con i propri dipendenti

Anche i manager sono uomini. Ma hanno una posizione, una responsabilità e un ruolo (ben retribuito) che richiede loro grande attenzione a come si comportano con la loro squadra. Non ci sono sole le buone regole per i dipendenti, ma anche quelle per i boss, cose che non dovrebbero mai fare e soprattutto dire quando si relazionano con i collaboratori. La rivista americana Forbes ne ha individuate 9. Ecco le parole che un bravo manager dovrebbe mai pronunciare. Neanche quando le pensa e/o sono vere.

1. Ti pago lo stipendio. Devi fare quello che dico io.  È un’espressione dittatoriale. Le minacce e l’esibizione del potere non producono fedeltà e non migliorano le prestazioni. I bravi leader ispirano, insegnano, incoraggiano e, se serve, aiutano i collaboratori.

2 Sei molto fortunato a ricevere questo premio. In altre aziende danno soltanto un tacchino congelato. Un manager brillante riconosce i collaboratori che producono profitti e dovrebbe essere felice di premiarli per aver contribuito al buon andamento dell’azienda.

3. Sono stato qui fino a tardi ieri sera. E lavoro anche il sabato mattina. Tu dov’eri?  Fare pressioni sulla presenza senza limiti di orario è un modo sicuro per creare insoddisfazione tra i collaboratori. Solo perché un manager lavora sette giorni su sette non vuol dire che i dipendenti fedeli dovrebbe fare lo stesso.

4. Dovresti fermarti perché noi non vogliamo discriminarti perché sei una donna. Un bravo mnager non discriminerà mai e mai farà sentire un collaboratore vulnerabile, direttamente o indirettamente, per il sesso, la religione, la razza o altre ragioni politiche. Comportamenti come quelli espressi da questa frase se non sono illegali, sono certamente fastidiosi.

5. Abbiamo deciso di tagliare i costi (nello stesso momento in cui magari hai cambiato la scrivania). In tempi difficili i dipedenti rispettano i capi che partecipano alle difficoltà generali e danno l’esempio. Ma respingono quelli che vivono al di sopra dello standard.

6. Non voglio ascoltare le vostre lamentele. Un boss deve sempre stare in ascolto, anche di commenti negativi, e mostrarsi disponibile. Anche di fronte a problemi che non possono essere risolti, permettere a un collaboratore di sfogarsi anche per pochi minuti aiuta a tenere alto il morale.

7. Abbiamo sempre fatto così. Questa affermazione è un modo sicuro per soffocare l’innovazione. Meglio chiedere: che cosa suggerisci per fare meglio? Di solito i collaboratori sanno che cosa si potrebbe o dovrebbe fare per migliorare il loro lavoro. L’obiettivo del manager è incoraggiare a trovare soluzioni creative per vecchi problemi e premiare chi riesce a farlo.

8. Stai lavorando male! I manager dovrebbero comunicare chiaramente gli obiettivi.  Dovrebbero dare ai collaboratori le risorse, le indicazioni, gli strumenti e il supporto necessari per svolgere con successo il loro compito. Possono anche chiedere di ripetere le istruzioni per assicurarsi che siano state comprese. Se i dipendenti continuano a sbagliare, forse il compito assegnato non è adeguato alle competenze oppure sono state date istruzioni poco chiare.

9. Sei uno stupido! Il peggior collaboratore che abbia mai avuto. Rabbia, parolacce e insulti feriscono un dipendente. I capi dovrebbero comportarsi con educazione e professionalità. Se è sconsigliabile per un manager imprecare davanti a un impiegato, è assolutamente inaccettabile insultare un impiegato.

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Giovanni Iozzia

Ho lavorato in quotidiani, settimanali e mensili prevalentemente di area economica. Sono stato direttore di Capital (RcsEditore) dal 2002 al 2005, vicedirettore di Chi dal 2005 al 2009 e condirettore di PanoramaEcomomy, il settimanale economico del gruppo Mondadori, dal 2009 al maggio 2012. Attualmente scrivo su Panorama, panorama.it, Libero e Corriere delle Comunicazioni. E rifletto sulle magnifiche sorti progressive del giornalismo e dell’editoria diffusa.  

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