Non solo Embraco, quante e quali sono le aziende in crisi
ANSA/ALESSANDRO DI MARCO
Economia

Non solo Embraco, quante e quali sono le aziende in crisi

Dalle acciaierie di Piombino all’Iribus passando per Almaviva. Le vertenze ancora aperte e come il governo tenta di salvarle

La Embraco di Riva di Chieri (Torino) è solo una delle tante. E’ infatti lunga la sfilza di aziende in crisi per le quali è aperto un tavolo presso il ministero dello Sviluppo Economico, in cui il governo tenta (spesso con fatica) di trovare una soluzione per ristrutturare le fabbriche ed evitare i licenziamenti.

Record di vertenze

E’ il caso delle acciaierie Aferpi di Piombino (Livorno), della compagnia di bandera Alitalia, del call center Almaviva, dello stabilimento siderurgico dell’Alcoa (in Sardegna), dell’Ilva di Taranto, della ex Fiat di Termini Imerese e del produttore di autobus Iribus. Tirando le somme, nel 2017 le vertenze aperte hanno raggiunto il numero record di 162, con circa 180mila lavoratori coinvolti. Si tratta di numeri poco incoraggianti, visto che nel 2012 i tavoli aperti erano 119 e i lavoratori coinvolto meno di 120mila.

Ecco allora che sorge spontaneo un interrogativo: ma serve davvero tenere aperte tutte queste procedure? Verrebbe da rispondere di sì, se ogni vertenza si chiudesse con il lieto fine e non si trascinasse invece per anni come nel caso dell’Ilva o della ex Fiat di Termini Imerese, dove i nuovi proprietari di Bluetec hanno ancora centinaia di persone da ricollocare e ne hanno sistemate una piccola minoranza.

Ci sono però vicende risolte di recente con esito positivo come quella dell’Alcoa, le cui fabbriche sono state acquisite dal gruppo svizzero Sider Alloys. I tavoli del ministero, insomma, a volte funzionano e a volte no. Tutto dipende dalla gravità della situazione di partenza e dalla reale volontà dei compratori di sanare davvero l’azienda, visto che le procedure sono più o meno uguali per tutte le vertenze.

Salvataggio in 4 tempi

La gestione dei tavoli, che è coordinata da Giampiero Castano, ex sindacalista della Fiom-Cgil e poi direttore del personale in importanti aziende come la Olivetti, prevede di solito 4 fasi. Innanzitutto, viene sondata la disponibilità a sedersi al tavolo da parte dell’azienda in crisi che cerca anche la disponibilità di eventuali partner o compratori delle fabbriche in difficoltà.

Successivamente entrano in gioco i sindacati che danno il via alle trattative affiancati da istituzioni istituzioni pubbliche, compresi gli enti locali come i Comuni e le Regioni che cercano di fare la loro parte per ristrutturare l’impresa. Se c’è per esempio la necessità di sostenere dei processi di formazione o di riqualificazione del personale, Regioni e Comuni possono dare per esempio un loro contributo, visto che gestiscono le politiche del lavoro territoriali.

Nella terza fase, si arriva alla stesura di un vero e proprio accordo con la mediazione del ministero. Infine, viene istituita una sorta cabina di regia che monitora l’evoluzione della crisi, mentre il tavolo continua a riunirsi periodicamente al ministero. Purtroppo, questa procedura presenta un limite: non sono previste sanzioni se le aziende che si siedono al tavolo non rispettano i patti e non salvano poi tutti quei posti di lavoro che si sono impegnate a salvare.

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Andrea Telara

Sono nato a Carrara, la città dei marmi, nell'ormai “lontano”1974. Sono giornalista professionista dal 2003 e collaboro con diverse testate nazionali, tra cui Panorama.it. Mi sono sempre occupato di economia, finanza, lavoro, pensioni, risparmio e di tutto ciò che ha a che fare col “vile” denaro.

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