Mps, i veleni e le paure di Siena ferita
Voci e rumori dalla città dalla doppia pelle bancaria a una settimana dal suicidio di David Rossi. Tra fobie complottiste e ansia per il futuro
La Siena che non ti aspetti si materializza nel luogo più simbolico, un vicolo alle spalle di Rocca Salimbeni, lo stesso vicolo dove una settimana fa David Rossi, il responsabile comunicazione di Mps, si è schiantato dopo un volo di dieci metri. Vengo avvicinato da una signora sui 65, due terzi dei quali passati in Montepaschi: cassiera, poi capofiliale, rappresentante sindacale, una puntatina in Deputazione (l’organo di indirizzo della Fondazione, che a sua volta controlla la banca), infine prepensionata al primo giro di tagli. Fauna senese doc, insomma. “Io so chi è stato” sussurra “se vuole glielo dico”.
Prego? “Ma sì, il responsabile di tutto questo, il crac, i suicidi, le inchieste giudiziarie... È D’Alema. Ma qual è il mistero? Solo voi che venite da fuori non riuscite ad accorgervene”. Massimo D’Alema nel 2003 fu uno degli sponsor dell’acquisto di Banca del Salento da parte di Mps, operazione da molti giudicata il peccato originale: ma questo, oltre a essere un fatto noto, è un po’ pochino come prova a carico.
Anche perchè basta allargare il panel degli opinionisti per trovare un ricco carnet di indiziati del disastro: dall’enfant prodige Giuseppe Mussari (“Non dovevamo consegnarci a un pifferaio magico venuto da fuori”, sibila l’edicolante) all’ex direttore generale Antonio Vigni (“Guardi che anche lui non è mica senese: è nato fuori dalle mura”, sbottano due avventori di un bar). C’è chi se la prende, genericamente, con la politica e chi con l’Opus Dei, la finanza cattolica e il centrodestra, che tifavano per il declino dell’istituto "rosso". Chi parla di una “lobby gay” che tirerebbe le fila della cospirazione e chi punta tutto su Ior e massoneria. Una passeggiata per il centro di Siena, oggi, è un biglietto di sola andata alla scoperta dei grandi classici del complottismo.
Nessuna autocritica. Nessun riferimento, o quasi, a un sistema che per anni si è autoalimentato di un benessere reale ma passeggero, garantito dai finanziamenti a pioggia di banca e fondazione (331 milioni negli ultimi dieci anni), senza che nessuno a Siena sentisse l’esigenza di garantirsi un piano B. Ora, forse, è troppo tardi per rendersene conto. Anche se qualcuno ha già cominciato con i calcoli: "Abbiamo vissuto sopra le nostre possibilità” ammette un consigliere comunale di opposizione, uno dei pochi, sostiene, a non aver accumulato qualche carica accessoria all’ombra del Monte (“mica facile, sa, in una città dove ci sono più poltrone che culi”, sghignazza).
Il clima a Siena è rovente. Monta la rabbia e cresce la preoccupazione per un dopo che comincia subito, ma senza la rete di protezione che stava lì dal 1472. “Qui tutto si muoveva grazie ai fondi targati Mps: l’arte, la cultura, il terzo settore, lo sport” continua la mia fonte. “Ma anche gli enti locali e le imprese private, alla lunga, hanno finito per affezionarsi a quella mammella che sembrava non esaurirsi mai”. Basta dare un’occhiata in giro per avere conferme: la dicitura Acquistato con il contributo di, seguita dal simbolo della Rocca, campeggia su ambulanze e veicoli industriali, automobili dei vigili e laboratori farmaceutici. Persino sui portoni delle contrade, alle quali quest’anno mancheranno circa 250 mila euro di contributo targato Fondazione Mps.
Ecco perché mentre le vetrine di via Camollia espongono gli ultimi saldi anche Siena, forse, si sente un po’ a fine stagione. "Resta davvero poco da cui ripartire” osservano in Unindustria, altra realtà largamente coccolata e talvolta cencellianamente sedutasi al tavolo di Deputazione e Fondazione. “Il turismo, l'agroalimentare e l’artigianato rimangono presidi validi e abbastanza anticiclici. Ma soffrono comunque: servirebbero un maggiore coordinamento, nuovi investimenti, garanzie sul credito e branding territoriale”. Tutte cose, guarda caso, fino a ieri assicurate dall’ombrello banca-Fondazione-enti locali. Ora che in cassa non c’è un euro da distribuire, ora che il Comune – che si voti a maggio o che la Corte dei conti ne decida il commissariamento-bis, poco cambia – si prepara alla spending review più feroce, sarà dura rimettersi a cantare che il cielo è sempre più blu, come da spot televisivo.
Le indagini sulle operazioni sospette della banca e sui diversi filoni paralleli, intanto, proseguono in silenzio. Un silenzio benedetto dalla città. La settimana prossima riprenderanno gli interrogatori dei pm Natalini, Nastasi e Grosso su Antonventa e Alexandria, mentre per quanto riguarda il suicidio di David Rossi il quarto magistrato, Nicola Marini, ha interrogato lunedì 11 gli ultimi due colleghi che l’hanno visto vivo e attende per la seconda metà della settimana i riscontri della Polizia postale sui suoi tabulati telefonici.
Ma anche se una settimana di pioggia fine ha lavato via le macchie di sangue dal pavé alle spalle della banca e ammorbidito i titolacci dei giornali, i veleni continuano a scorrere più copiosi di prima. L’ultimo esempio, ma è davvero solo l’ultimo, sono le accuse incrociate sulla responsabilità “morale” della morte di Rossi, che hanno coinvolto diversi blog . Ma le ombre si intrecciano con la paura, palpabile, di una comunità che nel giro di pochi mesi ha visto sgretolarsi la sua aura da isola felice e mandato giù in un solo boccone tutto l’amaro della crisi altrove inghiottita lentamente.
Le tappe della discesa agli inferi di Siena sono tante e variegate: l’inchiesta sul calcioscommesse che ha coinvolto la squadra di calcio e i presunti pagamenti in nero del team di basket, il collasso di Siena Biotech e i conti in rosso dell’università, il buco di bilancio delle Asl e quello, da quasi 300 milioni, del Comune, che già vanta tasse e aliquote Imu tra le più alte d’Italia. Sport, Comune, Università, ricerca, sanità: insieme satelliti e cardini di un sistema politico-economico incapace di riformarsi. E che oggi, invece di accusare se stesso, preferisce gridare al complotto.