Mps, quale futuro dopo l'aumento di capitale
Carlo Ferraro/Ansa
Economia

Mps, quale futuro dopo l'aumento di capitale

In vista del rimborso dei Monti bond, il presidente Profumo definisce il Monte dei Paschi una banca normale e risanata. Ma c'è un interrogativo sul suo avvenire: possibile preda o polo aggregante?

“Fino a due anni fa, nessuno avrebbe puntato su di noi i propri risparmi. Ora siamo tornati a essere una banca normale e risanata”. Sono le parole pronunciate dal presidente del Monte dei Paschi di Siena, Alessandro Profumo, dopo il via libera dell'assemblea all'aumento di capitale da 5 miliardi di euro, approvato dai soci con una maggioranza “bulgara” del 97%. La liquidità raccolta verrà impiegata per rimborsare gran parte dei Monti bond, il prestito obbligazionario governativo che è servito per traghettare l'istituto toscano fuori dalla crisi, dopo lo scandalo sui derivati che ha coinvolto gli ex-vertici della società tra la fine del 2012 e gli inizi del 2013. Circa 3 miliardi di euro di Monti Bond verranno pagati subito in contanti, mentre un'altra tranche da circa un miliardo sarà rimborsata entro il 2016.

MPS: LA CURA MANSI PER LA FONDAZIONE

Il prossimo aumento di capitale, benché sembri destinato a concludersi successo, lascia aperto un interrogativo sul futuro di Mps: cosa ne sarà della banca, ora che ha rimesso un po' di ordine nei conti? Domanda più che legittima visto che, dopo aver onorato i propri impegni con lo stato rimborsando i Monti bond, al Monte dei Paschi non rimarranno molti soldi in cassa: meno di un miliardo di euro in tutto, se si contano anche gli interessi da pagare sul prestito obbligazionario e gli oneri della ricapitalizzazione. La dotazione di risorse non è dunque eccezionale, certamente non al livello di una banca che vuole giocare ancora il ruolo di grande potenza nel settore creditizio continentale.

Ecco allora che sorge spontaneo un altra domanda: forse Mps è destinata a finire nell'orbita di qualche compratore estero? Le condizioni perché ciò avvenga non mancano di certo. In borsa, la banca vale meno di un terzo di quanto valeva 3 anni fa (anche se erano ben altri tempi) e i multipli del titolo sono bassi. Inoltre, con l'operazione di salvataggio, c'è stato un notevole rimescolamento di carte nell'azionariato. Prima della crisi, a comandare era la Fondazione Mps, che deteneva il 50% del capitale, mentre gli altri soci non superavano il 4%.

CHI COMANDA ADESSO

Ora, invece, gli assetti sono radicalmente mutati. Con la cura somministratale dalla presidente uscente Antonella Mansi, la Fondazione è scesa al 2,5% e ha siglato un patto parasociale per controllare il 9% della banca, assieme al fondo Fintech del messicano David Martínez Guzmán, che detiene il 4,5%, e ai brasiliani di Btg Pactual, che hanno poco più del 2% di Mps (attraverso la propria filiale londinese). Un altro 3,2% del capitale è invece nelle mani del colosso del risparmio gestito BlackRock mentre un ulteriore 3% è posseduto dai francesi di Axa.

PREDA O POLO AGGREGANTE?

Il gruppo Monte dei Paschi di Siena di oggi, insomma, è cosa ben diversa (com'è ovvio che sia) rispetto a ciò che era due o tre anni fa. E' tornato a essere una banca commerciale, che ha un azionariato diffuso e molte meno ambizioni espansionistiche di un tempo ma che conserva ancora un forte radicamento sul territorio, almeno in certe regioni della Penisola. Sono proprio le caratteristiche giuste per far gola a qualche aspirante compratore straniero, anche se non nell'immediato. Il quadro sarà infatti più chiaro a partire dal 2015, quando verrà completato in Europa il processo di asset quality review, il monitoraggio degli attivi di bilancio degli istituti di credito, primo passo per avviare l'Unione Bancaria continentale, che potrebbe far partire un nuovo risiko nel settore creditizio dell'Eurozona, cioè una lunga catena di fusioni e acquisizioni. Il messicano Guzman, che con la sua Fintech è sulla carta il maggiore azionista di Mps, ha tuttavia disegnato uno scenario diverso, dicendo che il Monte dei Paschi ha maggiori potenzialità di diventare un “polo aggregante”, in Italia e magari anche in Europa, piuttosto che di trasformarsi in una preda. Il tempo dirà se il nuovo socio d'Oltreoceano ha ragione e se ci crede davvero.

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Andrea Telara

Sono nato a Carrara, la città dei marmi, nell'ormai “lontano”1974. Sono giornalista professionista dal 2003 e collaboro con diverse testate nazionali, tra cui Panorama.it. Mi sono sempre occupato di economia, finanza, lavoro, pensioni, risparmio e di tutto ciò che ha a che fare col “vile” denaro.

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