Monti e il flop della strategia anti-evasione
Economia

Monti e il flop della strategia anti-evasione

Non è una colpa grave. La missione è ciclopica. Ma i risultati non ci sono. E il Governo le tasse, davvero, non le può tagliare

La verità che sgocciola dalle pieghe della legge di stabilità è che la strategia anti-evasione del governo Monti è già naufragata. Intendiamoci: non che sia una colpa grave, battere l’evasione in un Paese che ne è permeato è impresa ciclopica. Ma averlo proclamato come obiettivo essenziale e dissimularne se non il fallimento certamente il flop è populista. E vediamo perchè.

La retroattività della riduzione delle detrazioni fiscali ai redditi 2012 e l’applicazione, invece, dei modesti sgravi alle due aliquote più basse dai redditi 2013 e dell’aumento dell’Iva al 22% da luglio 2013 dimostrano che in termini sostanziali di flussi di cassa quest’aggiustamento non determina per l’erario nessuna significativa minore entrata. E del resto è inevitabile che sia così, perchè non ci sarebbe nessuna maggiore entrata a compensarla.

Ma allora, il tanto strombazzato utilizzo dei proventi dalla lotta all’evasione per ridurre le tasse? Inesistente, perchè quei proventi saranno, nel 2012, gli stessi dell’anno prima, una dozzina di miliardi: ciò che hanno fatto Grilli e Befera equivarrà a quel che fece Tremonti. Un po’meglio in verità, perchè c’è stata recessione: ma solo un po’. Ora, prendendo per buono quel 17% di Pil che lo stesso Istat accredita all’economia sommersa – quindi circa 270 miliardi di euro – e calcolando che l’economia sommersa, se emergesse, dovrebbe ben pagare un’aliquota fiscale media di almeno il 30%, esistono virtualmente 90 miliardi di euro di tasse evase, dei quali la gioiosa macchina da guerra dell’Agenzia delle Entrate recupera non diciamo la metà, non diciamo un terzo: recupera sì e no un ottavo.

E per riuscire in questo modesto risultato, fracassa le scatole ai contribuenti onesti, affardellandoli di adempimenti, ficca il naso nella loro privacy , perlustra i loro conti correnti, li spinge a trasferire dai porti veneti e liguri in quelli francesi e croati le loro barche, a comprare i gioielli d’anniversario alle loro compagne negli outlet oltreconfine anzichè in Italia, a non acquistare più immobili di lusso, neanche avendone la disponibilità, per non attirarsi in casa o in ditta il solito drappello di finanzieri a caccia di pretesti.

Quindi il governo, non potendo derogare di un millimetro dagli impegni europei – e questa non è certo una sua colpa, anzi è un merito il riuscirci – non può tagliare le tasse. E l’ha annunciato, presentandolo come un sostegno perequativo ai ceti meno abbienti, solo per un omaggio demagogico alle componenti egualitariste della sua maggioranza. Spiace che in zona Cesarini Monti abbia ceduto al populismo ma è andata così.

Anzi, è andata un po’ peggio: perchè, per esempio, una serie di sacrosante iniziative a carico di banche e assicurazioni finiranno purtroppo infallibilmente, nel giro di tre o quattro mesi, col riversarsi in un aumento concertato e corale di prezzi e tariffe praticati dalle stesse società ai loro clienti, quindi è ovvio che quelle maggiori tasse finiremo col pagarle ancora una volta noi, travestite da rincari, come peraltro l’eventuale aliquota aggiuntiva dello 0,05% sulle transazioni finanziarie che sarà introdotta, probabilmente, con la cosiddetta Tobin Tax.

Ma allora, se nella manovretta sull’Irpef c’è una chiara impronta di populismo, perchè mai Monti ha deciso di cedervi? Quale obiettivo ha inteso perseguire? Solo chi non lo ha mai conosciuto all’opera può illudersi che il professore non persegua, oltre al traguardo professionale impegnativo che la storia gli ha indicato, anche un suo personale – e peraltro legittimissimo – obiettivo di "gloria": che sia il Quirinale o un altro mandato a Palazzo Chigi, purchè invocato a gran voce dal popolo unanime. Ma l’invidiabile posizione di senatore a vita, attribuitagli saggiamente da Napolitano, lo difende dall’obbligo del confronto elettorale.

Lui non deve prendere i voti degli italiani: deve raccogliere la rassegnazione dei partiti nel non aver trovato altri candidati-premier adatti alla bisogna. Ebbene. forse la bizzarra costruzione di questa manovra fiscale è anche il frutto di un metalinguaggio per dire ai partiti: "Capisco le vostre esigenze, vi vengo un po’ incontro. Ma non sia mai dire cose del genere: si rischia il processo per sacrilegio".

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Sergio Luciano