Marchionne, i tre motivi che allontanano la Fiat dall’Italia
Economia

Marchionne, i tre motivi che allontanano la Fiat dall’Italia

Relazioni sindacali, normative sull’export e burocrazia sono i principali problemi denunciati dal manager italo-canadese

Come al solito Sergio Marchionne, amministratore delegato del Gruppo Fiat-Chrysler, non le ha certo mandate a dire. Parlando infatti ancora una volta fuori dai denti, in un recente incontro pubblico ha affermato chiaramente che “non farà altri investimenti se non ci sono le condizioni normative giuste”. Il riferimento era ovviamente all’Italia, dove comunque, tra bracci di ferro con sindacati e programmi a lunga gittata, la Fiat continua a mantenere una presenza significativa. Ma quali sono allora gli ostacoli più importanti, da un punto di vista normativo, che frenano il rilancio della produzione del Lingotto nel nostro Paese? Lo abbiamo chiesto all’economista Giuseppe Berta, profondo conoscitore delle dinamiche di casa Fiat.

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“Innanzitutto, ed è secondo me il fattore più determinante –esordisce Berta – c’è il grave problema delle norme sulle relazioni industriali. Marchionne fin dall’inizio della sua avventura in Italia ha sempre pensato di poter instaurare dei rapporti con le sigle sindacali improntati alla massima chiarezza, con un contratto da rispettare e sanzioni che scattassero quando questo non succedeva. Insomma, un sistema che ricalcasse il modello di relazioni industriali degli Stati Uniti”. E invece, il manager italo-candese ha dovuto evidentemente prendere atto che qui da noi certe intese sono decisamente più aleatorie, che gli accordi passano sempre da estenuanti trattative in cui alla fine ad emergere è un compromesso che non è mai la soluzione ideale. Il risultato è stato il durissimo scontro apertosi con la Fiom.

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“Le cose tra l’altro – aggiunge il professore dela Bocconi – sono diventate, se possibile, ancora più complicate dopo la recente sentenza della Consulta che ha imposto il rientro delle tute blu della Cgil nelle rappresentanze sindacali degli stabilimenti da cui erano state escluse per non aver firmato il contratto con l’azienda”. Una decisione che paradossalmente secondo Berta getta ulteriore benzina sul fuoco. “Sbaglia chi pensa che la decisione della Consulta sia la parola fine sullo scontro tra Fiat e Fiom. Al contrario invece potrebbe essere l’inizio di una nuova storia dagli sviluppi potenzialmente infiniti. Anche se Marchionne ha accettato infatti di incontrare Landini, c’è da immaginare che la Fiom non si limiterà a rientrare in fabbrica accettando l’attuale contratto, ma chiederà una sua revisione, e allora quello che accadrà risulta davvero impossibile da immaginare”.

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Ma se le relazioni sindacali sono certamente il boccone più amaro che Marchionne non riesce proprio a mandare giù quando opera in Italia, ci sono anche altri fattori che limitano l’intraprendenza della Fiat nel nostro Paese. “C’è ad esempio – fa notare Berta – il tema delle normative riguardanti le agevolazioni all’export. Il tema era stato già affrontato con l’ex ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera, ma era rimasto in sospeso. Ora c’è da sperare che venga rimesso all’ordine del giorno e risolto nell’ambito degli accordi commerciali che si stanno definendo tra Europa e Usa”.

Ma il cahiers de doleance di casa Fiat non finisce qui. Non potevano infatti mancare le rimostranze legate all’inefficienza della nostra macchina pubblica. “La burocrazia asfissiante – dice Berta – è una problema che Marchionne ha denunciato più volte, e che rappresenta un problema ovviamente non solo per Fiat, ma per l’intero sistema produttivo del nostro Paese. Con complicazioni di questo tipo infatti non solo si limitano al minimo gli investimenti Fiat, ma si fa scappare qualsiasi altro potenziale investitore”. In questo senso Marchionne ancora una volta è stato molto chiaro, e ha lasciato intendere che se almeno una parte di questi ostacoli non verranno rimossi, riferendosi in particolare alle problematiche sindacali, davvero questa potrebbe essere la volta buona , o brutta verrebbe da dire, in cui Fiat saluta tutti e dice addio all’Italia.

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Giuseppe Cordasco

Sono nato e cresciuto ad Aarau nel cuore della Svizzera tedesca, ma sono di fiere origini irpine. Amo quindi il Rösti e il Taurasi, ma anche l’Apfelwähe e il Fiano. Da anni vivo e lavoro a Roma, dove, prima di scrivere per Panorama.it, da giornalista economico ho collaborato con Economy, Affari e Finanza di Repubblica e Il Riformista.

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