Liberalizzazioni, promesse mancate
Economia

Liberalizzazioni, promesse mancate

Sei mesi dopo, pochi risultati. Anche i tagli finiranno così?

Liberalizzazioni in salsa italiana fra mancate promesse, aggiramento delle norme e rendite di posizione. Nonostante le buone intenzioni del premier Mario Monti, a sei mesi dall’entrata in vigore il 24 gennaio del decreto «cresci Italia» il Paese resta al palo e poco di nuovo s’intravede quanto a libertà di mercato, di impresa e professionale.

Nulla di rivoluzionario in tema di concorrenza o di positivo riguardo ai prezzi, che aumentano (vedi taxi). Triste, ma vero. Le misure sono state tarpate dai gruppi d’interesse, poi in qualche caso peggiorate in Parlamento, mentre i regolamenti, la prassi e i ritardi hanno completato il sabotaggio delle già scarse innovazioni.

Insomma, poco è cambiato perché nulla cambiasse realmente. Tre esempi: le polizze Rc auto con l’obbligo di sottoporre ai clienti tre preventivi di diverse compagnie, l’istituzione di un’autorità regolatrice dei trasporti, l’abolizione del valore legale del titolo di studio. Nel primo caso (Rc auto), l’obbligo era irrealistico.

Come se entrando in un ristorante il cameriere dovesse proporre un paio di osterie vicine, con cucina equivalente e prezzi inferiori. Le compagnie si sono industriate fornendo agli agenti moduli in cui si sottoponeva alla firma distratta degli assicurati la presa visione di preventivi mai esibiti.

Risultato: l’Isvap, l’autorità di vigilanza del settore assicurativo, ha sospeso la procedura per quattro mesi. Intanto l’associazione di consumatori Altroconsumo ha riscontrato che l’obbligo veniva eluso da nove agenzie su 10 a Milano e Brescia. Analoga sorte ha avuto il divieto per le banche di offrire, insieme ai mutui, le polizze di cui le banche stesse sono intermediarie.

Ancora Altroconsumo ha provato che gli istituti continuano a offrire prodotti combinati. Secondo esempio: l’istituzione dell’Autorità dei trasporti per vigilare sulla terzietà della gestione delle infrastrutture essenziali. Ai primi di giugno sono arrivate le nomine, peraltro non ancora confermate dal voto del Parlamento.

La domanda è: verrà dotata di uomini e strumenti con potere contrattuale reale rispetto alle ingombranti aziende di settore? Terzo esempio: l’abolizione legale del titolo di studio sarebbe stata un’arma formidabile contro il clientelismo e il familismo.

Il governo ha però accantonato l’idea dopo un sondaggio online del ministero dell’Istruzione dal quale è risultato che gli italiani, aggrappati allo status quo, non gradiscono. Tre esempi che significano promesse tradite da norme assurde, inapplicate, o rimandate. Ma vediamo in concreto che cosa è successo.

RC AUTO
Paolo Martinello, presidente di Altroconsumo, è convinto che sia questo il capitolo «meno convincente delle misure di liberalizzazione». Il mercato è «sempre più concentrato e l’apertura dei canali distributivi resta incompiuta». La Voce.info, sito fondato dall’economista bocconiano Tito Boeri, ha sottolineato che «la liberalizzazione non c’è». Il decreto non aiuta agenti e intermediari a liberarsi dal cappio del mandato in esclusiva. Qualcosa di più andava fatto.

BANCHE
A detta della responsabile di Altroconsumo per le banche, Anna Vizzari, è positivo il conto base per i redditi inferiori a 7.500 euro l’anno, «totalmente gratuito e con un numero sufficiente di operazioni semplici». Delusione, invece, per le commissioni sullo scoperto dei conti correnti: zero commissioni a 500 euro per sette giorni è «troppo poco».

Misure aggirate o eluse riguardo al divieto della vendita combinata di polizze sulla vita collegate a mutui o crediti. Le banche continuano a esserne beneficiarie, il cliente può solo fare una segnalazione all’Antitrust. Altra pratica scorretta che continua, secondo Vizzari: le banche obbligano chi stipula un mutuo ad aprire un conto corrente.

Le semplificazioni sui conti correnti degli anziani sarebbero addirittura un dato negativo secondo Carlo Stagnaro, direttore delle ricerche dell’Istituto Bruno Leoni: «Il risparmio in Italia è per lo più in mano a pensionati e anziani, i benefici concessi sui loro conti inducono le banche a spalmare i ricavi sui giovani, che hanno meno risparmio e, anzi, devono costruirselo. Un’ingiusta partita di giro».

TRASPORTI
«Si sperava che il decreto prevedesse la separazione della rete ferroviaria dalle Ferrovie dello Stato. Invece no» dice Stagnaro. «Vedremo quanto l’Autorità sarà forte e indipendente». Per la Ntv di Luca di Montezemolo «è come giocare una partita contro un avversario che fa anche l’arbitro». Altro non c’è.

Non è stata abolita la norma del 2009 per cui, se un privato vuole introdurre fermate intermedie regionali a onere zero per lo Stato, gli può essere negato qualora comprometta l’equilibrio economico del titolare del servizio pubblico. È questa la norma che in Piemonte ha tarpato le ali all’Arenaways.

L’obiezione delle Ferrovie dello Stato è che i privati non possono fare concorrenza col «cherry picking», la scelta dei servizi (le ciliegie) migliori, escludendo quelli in perdita che il pubblico invece è tenuto a garantire.

L’Autorità avrà un anno di tempo per indicare la «rotaia» da seguire. Ora il governo pare orientato a chiedere un extrapedaggio alle imprese dell’alta velocità come contributo al servizio universale, quello che seppure in perdita è un diritto di tutti i cittadini.

La Ntv pone tre condizioni: mettere a gara il servizio universale, separarlo contabilmente dalle altre attività, escludere dal pagamento le nuove imprese fino all’equilibrio di bilancio. Intanto, nell’ultima relazione del garante Antitrust, Giovanni Pitruzzella ha denunciato e sottolineato che la liberalizzazione nel settore ferroviario è insufficiente.

POSTE
Resiste e, semmai, si estende l’area di riserva per le Poste Italiane sugli atti giudiziari e le multe. L’amministratore delegato delle Poste, Massimo Sarmi, lamenta di dover pagare 650 milioni l’anno per il servizio universale (analogo a quello ferroviario), mentre lo Stato gliene riconosce 320 e li versa dopo anni.

Di contro, un’indagine commissionata al centro studi Copenaghen economics dalla Tnt Post, concorrente con il 7 per cento del mercato contro il 91 delle Poste, ricalcola il sussidio a 175 milioni. La spinta liberalizzatrice imporrebbe di togliere la riserva, ridurre i 15 anni di affidamento alle Poste del servizio universale, metterlo a gara e delimitarne il perimetro ai servizi essenziali. Inoltre, le Poste si avvantaggiano dell’esenzione iva sul totale.

E per finire, Banco Posta e Poste Italiane andrebbero separate. Erano queste anche le raccomandazioni dell’Antitrust di Antonio Catricalà, oggi sottosegretario alla presidenza del Consiglio.

TAXI
C’è poco da dire: che siano i sindaci a decidere il numero delle licenze li espone al ricatto politico dei tassisti. I consumatori pagano e pagheranno sempre di più.

CARBURANTE
Il prezzo dei carburanti non scende abbastanza, sostiene Stagnaro: «L’apertura di nuovi impianti è condizionata a dotarli anche di gpl e in alcune regioni non ha senso. Il prezzo resterà alto a causa di quello del petrolio e dell’aumento delle accise. Su 1 euro e 80 centesimi, gli altri costi tranne la materia prima ne valgono 15, mentre la parte fiscale è salita di 20. La concorrenza serve a poco. È positivo che si possano impiantare self-service 24h, ma perché solo fuori città?».

ENERGIA
La separazione di Snam Rete Gas da Eni è il piatto forte del «cresci Italia». Ma siccome il diavolo si annida nei dettagli, e ci vorrà una riorganizzazione aziendale, si attende il decreto attuativo.

FARMACIE, NOTAI, PROFESSIONISTI
Nessun progresso. L’errore di fondo è quello di avere voluto liberalizzare aprendo un po’ il numero chiuso: 500 notai in più, e più alto il rapporto tra farmacie e popolazione. La svolta ci sarebbe stata con la liberalizzazione dell’accesso. Quanto alle tariffe minime e massime, Bersani le aveva già abolite. Senza grandi effetti.

SERVIZI PUBBLICI LOCALI
Secondo Stagnaro, «potenzialmente il decreto è migliorativo, bisogna vedere se le gare saranno aggirate da bandi su misura». La legge in teoria è buona, «va attuata». Nulla «è stato fatto per una maggiore trasparenza dei bilanci online dei soggetti di diritto privato controllati da enti pubblici. Come le asl. E nulla per liberalizzare le assicurazioni sugli infortuni da lavoro contro l’ingiusto e antieconomico monopolio dell’Inail».

Le liberalizzazioni, queste sconosciute. Secondo Stagnaro, c’è un dato che dimostra l’insufficienza del «cresci Italia», il divario fra le stime della Banca d’Italia, per cui le liberalizzazioni varrebbero un incremento dell’11 per cento del pil sul lungo periodo, mentre il governo sostiene che gli effetti del decreto saranno dello 0,1-0,2 per cento nei prossimi anni e dell’1 per cento nel 2020. Più che «cresci Italia», il decreto Monti si doveva intitolare «cresci, Italia!».

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