Lezione americana per Letta a Bruxelles
Economia

Lezione americana per Letta a Bruxelles

Enrico Letta ha detto alla Camera dei deputati che al consiglio europeo di giovedì e venerdì “ci sarà un confronto duro”. L’euro non è ancora salvo. Tanto meno l’Italia. Su cosa il governo potrà spuntare da una Unione sempre più …Leggi tutto

Enrico Letta ha detto alla Camera dei deputati che al consiglio europeo di giovedì e venerdì “ci sarà un confronto duro”. L’euro non è ancora salvo. Tanto meno l’Italia. Su cosa il governo potrà spuntare da una Unione sempre più disunita, non  bisogna farsi molte illusioni. Tuttavia, il presidente del Consiglio può trarre utili insegnamenti dalla lezione impartita lunedì 24 a Roma da un grande economista di origine italiana che negli Stati Uniti ha trascorso oltre mezzo secolo. Si chiama Dominick Salvatore, non è una star anche se ha fatto qualche apparizione a Ballarò, ma a differenza da molti apprendisti trasformati in stregoni, è riconosciuto come uno dei maggiori studiosi di economia internazionale e di microeconomia. Presentato da Giorgio La Malfa e Paolo Savona, ha parlato nel quadro delle Lezioni Felice Ippolito organizzate dalla Fondazione La Malfa,  offrendo alcuni consiglio gratuiti a chi governa la sua prima patria.

Il primo suggerimento sembra semplice semplice, ma è il più difficile da seguire: non aumentare le tasse, perché in piena recessione sarebbe un colpo mortale. Come evitarlo? Certo, si possono (e si debbono) tagliare le spese. Ma attenti, anche questa manovra riduce la domanda interna, quindi peggiora la congiuntura. Salvatore, mercatista senza se e senza ma, auspica che venga ridotto il peso dello stato, sa bene però che è un compito di medio-lungo periodo, così come aumentare la produttività, liberalizzare, cambiare la giustizia e via riformando. Tutte cosa da fare, anche se i risultati richiedono anni e non avranno impatto sulla congiuntura.

Perché la crisi italiana è un Giano bifronte: da una parte è afflitta da profondi guasti strutturali che vengono dal passato e ipotecano il futuro (basti penare alla macina del debito pubblico), dall’altra è oppressa da una recessione che rende più difficile affrontare gli stessi problemi di lungo periodo. Cominciare da questi ultimi aspettando i loro effetti positivi, è sbagliato. Esattamente l’errore compiuto da Mario Monti, secondo Salvatore. Ed è il peccato mortale della ricetta europea confezionata dalla Germania.

L’Italia, invece, ha bisogno di spazio per praticare una politica fiscale che stimoli la domanda interna per consumi e investimenti, mentre avvia le riforme. La domanda effettiva, ecco il punto debole, visto che le esportazioni tutto sommato tengono (anzi migliorano nei paesi extra-euro); altro segnale che il costo del lavoro, nonostante sia cresciuto troppo, non è  la zavorra peggiore.

Non c’è altra strada, allora, che ridurre le imposte per sostenere i consumi e mettere in campo interventi pubblici per stimolare gli investimenti. Keynesismo? Buon senso, qualità che Salvatore considera essenziale per tutti, guru compresi. Non esiste una soluzione valida sempre e ovunque, come l’austerità trasformata in dogma, o lo spendi e spandi predicato da Paul Krugman con il quale ha polemizzato apertamente. Gli stessi Stati Uniti, con un deficit del 6% e un debito del 108% rispetto al pil (era al 67% nel 2007), non hanno più spazio. Mentre le banche centrali stanno esaurendo le loro munizioni. Ciò vale anche per la Bce, sebbene abbia margini di manovra più limitati rispetto alla Federal Reserve: basti dire che i titoli pubblici acquistati da Mario Draghi sono ormai pari al 32% del bilancio della banca.

Conclusione: “l’Italia deve sfidare la Germania, facendo leva sui suoi buoni argomenti”. Il primo è che dall’esplodere della grande crisi in poi, Roma ha aumentato il debito pubblico meno di tutti gli altri e ha ridotto il disavanzo più di ogni membro dell’Eurolandia. Lo dimostrano le cifre dell’ultima relazione della Banca dei regolamenti internazionali di Basilea, la banca delle banche centrali. Dunque, risultati certificati da un arbitro indipendente. Su questa base, l’Italia ha tutto il diritto, insiste Salvatore, di chiedere lo stesso trattamento della Spagna (che ha fatto peggio) e della Francia (che non ha fatto nulla per stare entro i parametri di Maastricht). Basterà il linguaggio della verità a convincere la Merkel e, quindi, Barroso che non si è distinto per grande indipendenza? La ragione tende al pessimismo, ma questo è il momento della volontà.

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Stefano Cingolani

Stefano Cingolani, nasce l'8/12/1949 a Recanati e il borgo selvaggio lo segna per il resto della vita. Emigra a Roma dove studia filosofia ed economia, finendo a fare il giornalista. Esordisce nella stampa comunista, un lungo periodo all'Unità, poi entra nella stampa dei padroni. Al Mondo e al Corriere della Sera per sedici lunghi anni: Milano, New York, capo redattore esteri, corrispondente a Parigi dove fa in tempo a celebrare le magnifiche sorti e progressive dell'anno Duemila.

Con il passaggio del secolo, avendo già cambiato moglie, non gli resta che cambiare lavoro. Si lancia così in avventure senza rete; l'ultima delle quali al Riformista. Collabora regolarmente a Panorama, poi arriva Giuliano Ferrara e comincia la quarta vita professionale con il Foglio. A parte il lavoro, c'è la scrittura. Così, aggiunge ai primi due libri pubblicati ("Le grandi famiglie del capitalismo italiano", nel 1991 e "Guerre di mercato" nel 2001 sempre con Laterza) anche "Bolle, balle e sfere di cristallo" (Bompiani, 2011). Mentre si consuma per un volumetto sulla Fiat (poteva mancare?), arrivano Facebook, @scingolo su Twitter, il blog www.cingolo.it dove ospita opinioni fresche, articoli conservati, analisi ponderate e studi laboriosi, foto, grafici, piaceri e dispiaceri. E non è finita qui.

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