Noi, Lehman Boys d'Italia, dopo il crac
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Economia

Noi, Lehman Boys d'Italia, dopo il crac

La caduta (morbida) degli dei Giovani, di successo, lavoravano a Londra per la Lehman Brothers: additati come i geni cattivi di questa crisi, hanno perso il posto

Francesco suona il pianoforte, Luigi è in giro in Vespa e Dimitri gioca a tennis. Niente di eccezionale, se non fosse che sono le 3 del pomeriggio di venerdì e i tre giovani non sono a Londra per il programma Erasmus, ma per lavorare in banche d'affari.

Di norma a quell'ora dovrebbero essere incollati ai computer, incerti persino sulla possibilità di avere libera una sola giornata del finesettimana. Il terremoto finanziario però ha fatto sì che le loro 14 ore di lavoro quotidiane non bastassero a evitare che la Lehman Brothers, il colosso che 3 anni fa li selezionò, fallisse lasciandoli a casa, insieme con gli altri 150 italiani approdati a Londra per fare carriera nella banca d'affari.

Titubanti (non è consueto incontrare gente di banca disposta a parlare del proprio lavoro a viso scoperto), Francesco Landolfi, Luigi De Sanctis e Dimitri Tzivelis sono i soli italiani che accettano di incontrare Panorama per umanizzare con i loro racconti la criticatissima figura del "banker", giunta al picco di impopolarità dopo la crisi dei mutui subprime.

L'accusa è che loro abbiano giocato con i soldi della gente. Loro, ovviamente, non ci stanno. Dicono di essersi limitati a svolgere al meglio il proprio ruolo con l'obiettivo di raggiungere, dopo quella universitaria, anche la distinzione professionale.

"E' di tutta evidenza che oggi la nostra figura non gode più del rispetto e del fascino che aveva quando noi siamo entrati all'università, non per questo pensiamo che in futuro si potrà fare a meno della nostra professionalità" afferma Francesco. "L'unica a non credere fin dal principio al prestigio della mia posizione è stata mia nonna" scherza Luigi, nato a Taranto, laureato alla Bocconi e assunto dalla Lehman quando aveva meno di 23 anni. "Mi voleva alla filiale del Sanpaolo a pochi passi da casa sua. Non la convinceva una banca che non aveva neppure uno sportello. Nessuno, purtroppo, ha avuto più ragione di lei". Luigi dal 30 settembre occupa le giornate studiando matematica per tentare l'accesso a un Mba (master in business administration). Nel caso in cui il colloquio, già fissato, per entrare in una nuova banca non dovesse andare come si augura, ha deciso che investirà sul suo curriculum. "Improvvisamente si sono riversati sulla piazza 5 mila professionisti che il mercato non cercava" spiega Dimitri.

"L'unica cosa da fare per trovare lavoro è puntare a essere più bravi degli altri" prosegue. Lui ha da poco firmato con il Credit Suisse. A vederli così non sembrano gli squali di cui si dice. "A suscitare diffidenza è l'oggetto del nostro lavoro: il denaro fa scattare pregiudizi" spiega Landolfi, trader di titoli di stato, laureato e specializzato in fisica, prima di frequentare un master in finanza.

Forte del suo curriculum, neanche lui ha temuto di rimanere a casa. Nel giro di poche settimane ha firmato per una banca italiana. "In ogni professione c'è chi lucra e chi no. E comunque non sono i giovani quelli che si sono arricchiti" afferma De Sanctis, posando lo sguardo sull'home page del suo computer impostata su Google Finance. "Per noi, assunti dopo il 2005, è stato come entrare al concerto di Woodstock dall'ingresso principale proprio nel momento in cui stavano iniziando a smontare il palco" aggiunge con una buona dose di autoironia Landolfi, mentre continua a suonare My Way di Frank Sinatra con il piano che ha noleggiato il giorno stesso in cui ha perso il lavoro.

Sarà, certo è che i tre giovani, entrati nel mondo della finanza durante il periodo di massima espansione (quello tra il 2004 e il 2007, in cui la banca arrivava ad assumere più di 100 neolaureati l'anno), hanno fatto in tempo a incassare, nel luglio 2007, il più alto bonus della storia centocinquantenaria della Lehman Brothers.

Alcuni stimano (la retribuzione dei banker è tenuta segreta anche tra colleghi) che in quell'anno l'incremento sullo stipendio minimo (che si aggira intorno ai 2.500 euro mensili netti) sia stato superiore al 100 per cento. Somma che quasi tutti hanno prudentemente messo da parte. "Il bonus è il plusvalore per il rischio che comporta stare in una banca d'affari, dove il posto di lavoro non è garantito. E' il nostro salvagente" sottolinea Landolfi. "Ma non crediate che ci abbia fatto ricchi" puntualizza De Sanctis. Che dal suo bonus ha solo prelevato i soldi per comprare una Vespa usata; dovrà chiedere aiuto ai genitori se deciderà di frequentare il corso per il master. "Di buono c'è che almeno noi non abbiamo perso denaro» commenta Tzivelis, nome greco e accento fiorentino, mentre finisce il suo bicchiere di Gewürztraminer seduto al tavolo di Nobu, dove questo sabato si registra una presenza di banker inferiore alla media

Il giovane, abile nelle pubbliche relazioni almeno quanto nell'investment banking, si riferisce probabilmente al fatto che dei bonus, a partire dal quinto anno di assunzione, circa il 70 per cento viene pagato in azioni Lehman. Il che significa che i senior di quella banca con il crac sono arrivati a perdere cifre multimilionarie. "Ci sono persone che hanno comprato la casa credendo di avere cento e che oggi si ritrovano con meno della metà. Loro sì che sono nei guai" commenta De Sanctis. "Eppure, anche se erano i primi ad avere delle difficoltà, i senior ci hanno sostenuto e rasserenato portandoci a cena fuori e segnalando i nostri curricula ai loro colleghi delle altre banche" racconta Tzivelis.

Seguendo i racconti dei tre, nelle banche d'affari esisterebbero, dunque, anche i rapporti umani. "La domenica prima della notizia del crac" racconta ancora Tzivelis "per stemperare la tensione abbiamo organizzato una partita a calcio a Regent's Park e poi siamo andati a mangiare la pizza in attesa di capire se la Bank of America o la Barclays ci avrebbero salvato. Alle 10 e mezzo, contro ogni aspettativa, abbiamo capito che non c'era più nulla da fare". "Credo che quella notte nessuno abbia dormito" bisbiglia De Sanctis. "Siamo stati tutti in contatto telefonico cercando di capire quello che sarebbe stato di noi. La mattina del 15, alle 6 e mezzo, eravamo in banca".

Ad accoglierli, un memorandum in cui era scritto che a partire da quel momento tutte le loro mansioni erano sospese: fino al 30, in attesa di un segnale definitivo, hanno dunque avuto il tempo di dedicarsi alla sistemazione dei curricula e a fissare appuntamenti con i cacciatori di teste.

Alle 3 del pomeriggio dell'ultimo giorno di settembre, il segnale: la radio interna li convocava nell'auditorium dove veniva comunicata l'interruzione dei loro rapporti con la banca. "In silenzio" ricorda De Sanctis "ci siamo incamminati verso l'All bar one, di fronte alla banca, per berci una birra tutti insieme. Eravamo tristi per la Lehman più che per noi. Sapevamo che, comunque, avremmo continuato a essere dei banker".

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Lucia Scajola

Nata e cresciuta a Imperia, formata tra Milano, Parigi e Londra, lavoro a Panorama dal 2004, dove ho scritto di cronaca, politica e costume, prima di passare al desk. Oggi sono caposervizio della sezione Link del settimanale. Secchiona, curiosa e riservata, sono sempre stata attratta dai retroscena: amo togliere le maschere alle persone e alle cose.

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