Legge di stabilità: ora servono più tagli
Economia

Legge di stabilità: ora servono più tagli

Parla l'economista Marco Fortis: non si può distruggere ricchezza per dimostrare di averla

"Una minestra fatta con ingredienti poveri, ma utile e necessaria". Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison e docente di Economia Industriale e Commercio Estero a Milano, valuta la Legge di stabilità approvata dal governo, che prevede un impatto fra i 10 e gli 11 miliardi sui conti pubblici, all’interno del faticoso cammino intrapreso per uscire dalla crisi economica e di credibilità. "Abbiamo fatto molto e bene ma non siamo ancora fuori dal tunnel", ricorda l’economista. "La situazione resta difficile e si capisce anche dalla fatica fatta dall’esecutivo per deliberare. Certo, si poteva fare meglio e forse non tutte le decisioni sono esenti da critiche ma dentro c’è anche un piccolo miracolo".

Quale, professore?
La riduzione di un punto di Irpef per le aliquote più basse. Mi sembra un’ottima mossa per riequilibrare il punto di Iva in più previsto dalla prossima primavera. Può rappresentare una spinta al potere d’acquisto e ai consumi nelle fasce sociali con redditi più bassi.

Un giudizio complessivamente positivo, quindi, il suo?
Con i pochi mezzi a disposizione, è stato varato un pacchetto non mi sembrava così depressivo, come qualcuno già sostiene. Gli ingredienti della minestra sono poveri perché le risorse sono scarse. Il pacchetto a favore dei salari di produttività, però, è uno stimolo, piccolo ma va apprezzato in questo momento.

Com’è questo momento?
Non siamo messi bene. Oggi (mercoledì 10 ottobre) c’è stato un nuovo collocamento di titoli di Stato con tassi ancora alti. Non siamo usciti dal tunnel, stiamo cercando faticosamente di farlo. Monti ha esibito i muscoli, facendoci pagare più tasse anche per dimostrare che eravamo in grado di farlo. Ma non si può distruggere la ricchezza per dimostrare di averla. Adesso dovremmo dimostrare di essere capaci di tagliare i costi, anche solo di 7/8 miliardi per poi poter cambiare registro. Stracciare i vincoli di bilancio per il 2013 e investire sulla crescita»

Perché non farlo subito?
Noi abbiamo buoni numeri ma non possiamo ancora giocarceli. Ha ragione il presidente Monti quando dice che bisogna attendere gli effetti del rigore per compiere la mossa successiva. E la riduzione dell’Irpef lo dimostra: è possibile perché i conti cominciano ad andare a posto. Ma tornare indietro adesso significherebbe buttare via tutto il lavoro fatto finora. Abbiamo buoni numeri ma non possiamo ancora giocarceli. E poi spero che i mercati si accorgano che l’Italia è un Paese virtuoso come pochi?

Addirittura?
Certo, lo dice il Fondo Monetario Internazionale. Nel report appena diffuso dice che è il Paese che, dopo la Norvegia, avrà nel 2013 il maggiore avanzo primario (il saldo tra entrate e uscite prima del pagamento degli interessi sul debito, ndr) tra i Paesi ricchi: 3,6% del Pil che salirà nel 3,9% nel 2014 e al 4,2% nel 2015. La Germania farà l’1,3% nel 2013, gli Usa addirittura il – 5,1%. Questi dicono che l’Italia è andata in recessione facendo rigore, ma i conti pubblici sono andati a posto.

Si, ma i capitali continuano a lasciare l’Italia. Ieri il Fmi ci ha ricordato abbiamo perso 235 miliardi di investimenti…
Credo che abbiamo anche un problema di comunicazione, perché questi disinvestimenti non sono giustificati dai nostri numeri. Questo è un Paese che con l’Imu ha dimostrato di avere le spalle larghe.. Altrove sarebbe scoppiata la rivolta o si sarebbero svendute le case, cosa che non sta accadendo qui. La tassa si paga a prescindere dll’andamento del Pil. Chiamiamola pure minipatrimoniale; è vero che ha un effetto depressivo. Ma il dato di fatto è che sono state drenate risorse importanti quando sembrava che stessimo per uscire di strada. E poi ho un dubbio, direi un sospetto…

Quale?
Dove vanno questi miliardi? A chi conviene questa fuga? Non è che la liquidità in uscita dall’Europa viene dirottata verso gli Stati Uniti che continuano a produrre debito? Anche la Germania si è avvantaggiata enormemente di questa situazione. Siamo arrivati al punto di sostenere il debito pubblico tedesco con i nostri soldi. Assurdo! Anche perché non dimentichiamo che chi ha comprato titoli pubblici italiani nei momenti più difficili ha portato a casa risultati che non si vedevano da tempo. Se non fosse per l’incertezza del quadro politico, dovremmo puntare a una grande azione di solidarietà nazionale per sostenere un Paese che ha dimostrato di saper reggere a un aggravio fiscale di 3 punti in cinque anni…

Ma fino a quando potrà reggere a questa pressione fiscale?
«Le entrate statali erano il 45,9% del Pil nel 2008 e nel 2013 arriveranno al 48,8%.  Con questi numeri abbiamo dimostrato che questo Paese, quando è chiamato a farlo, ha i soldi per pagare le tasse. Che il debito pubblico non è costruito sulla sabbia. Negli Stati Uniti o in Spagna sarebbe impensabile.

D’accordo, ma non rischiamo di finire stritolati sotto il macigno fiscale?
L’Italia ha una capacità di stare in apnea pari a quella di Corrado Maiorca. E questo dipende dalla riserva di risparmio che resta unica nel mondo: 170% del Pil contro il 125% della Germania o il 70% della Spagna. Se l’Italia resiste, alla distanza vince. Ma non può certo stare in apnea 10 anni.

La legge di stabilità dà qualche indicazione in questo senso?
Per poter ridurre pressione fiscale è necessario che i mercati capiscano che siamo tornati in carreggiata: siamo gli unici a rispettare già il fiscal compact (0,5% del pil). Da parte nostra dobbiamo dimostrare di essere capaci anche di tagliare. Soltanto dopo potremo alleggerire la cappa fiscale e pensare alla crescita.

I tagli alla sanità, però, sono al solito lineari. Non fanno distinzioni...
Questa è una questione annosa. Sarebbe meglio individuare criteri più selettivi. Ma tagliare è adesso la priorità per poter passare alla vera crescita. Sperando di non ricadare nella piscosi degli spread.

Teme che possa accadere?
I conti degli altri sono peggiorati talmente che i nostri sembreranno presto migliori. Ma adesso c’è una domanda che attraversa i mercati internazionali a cui è difficile dare una risposta sensata.

Quale?
Che cosa accadrà nel 2013 dopo Monti? Tornerete a comportarvi come prima?

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Giovanni Iozzia

Ho lavorato in quotidiani, settimanali e mensili prevalentemente di area economica. Sono stato direttore di Capital (RcsEditore) dal 2002 al 2005, vicedirettore di Chi dal 2005 al 2009 e condirettore di PanoramaEcomomy, il settimanale economico del gruppo Mondadori, dal 2009 al maggio 2012. Attualmente scrivo su Panorama, panorama.it, Libero e Corriere delle Comunicazioni. E rifletto sulle magnifiche sorti progressive del giornalismo e dell’editoria diffusa.  

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