Le Alcoa d'Italia. Altre aziende che noi manteniamo (inutilmente)
Economia

Le Alcoa d'Italia. Altre aziende che noi manteniamo (inutilmente)

Ogni anno circa 30 miliardi di sussidi vanno alle imprese. Soldi destinati a salvare società già decotte. Che spesso finiscono a imprenditori senza scrupoli.

Ogni anno circa 30 miliardi di euro finiscono alle imprese sotto forma di sussidi che, lo ha detto Mario Draghi da governatore di Bankitalia, sono «generalmente inefficaci». Secondo il dipartimento dello Sviluppo, le decine di miliardi dati alle imprese del Mezzogiorno fanno aumentare il pil del Sud di appena lo 0,25 per cento l’anno. Insomma, di questa enorme massa di soldi pubblici solo una minima parte va a buon fine, cioè crea occupazione o la salva definitivamente.

In genere la funzione dei sussidi è quella di posticipare la fine. La dimostrazione? La maggior parte dei 150 tavoli di crisi industriale che sono aperti presso il ministero dello Sviluppo economico riguarda proprio imprese che per anni, alcune addirittura da sempre, sono state tenute in vita grazie ai sussidi pubblici esattamente come nel caso della Carbosulcis (pubblica) o dell’Alcoa (privata). Ecco quali sono i casi più clamorosi di imprese finite in crisi nonostante i sussidi.

GESIP, SCANDALO PALERMITANO
È una vertenza quasi sconosciuta, ma riguarda circa 2 mila persone assunte a tempo indeterminato dal Comune di Palermo dal 2001 fino a oggi. Si tratta di ex lavoratori socialmente utili, ex detenuti e persone disabili che si occupano della manutenzione di palazzi pubblici, spiagge e strade. Tutti rischiano di restare senza stipendio alla fine di quest’anno per la totale assenza di copertura finanziaria: il comune non ha i 52 milioni di euro che servono per pagare i loro stipendi. Niente trasferimenti nemmeno da Roma, da dove sono arrivati appena 5 milioni e altri 5 sono stati promessi. Gli operai hanno occupato la Cattedrale di Palermo.
2.000 stipendi «sociali»

VIDEOCON, OFFRESI 60 MILIONI A CHI SALVA L'AZIENDA
Si tratta della ex Nordmende di Anagni, in provincia di Frosinone, che i francesi della Thomson hanno venduto alla famiglia indiana dei Dhoot nel 2005. Nel 2008, alla vigilia della scadenza dell’impegno a mantenere l’occupazione, i Dhoot rivedono i piani: dopo avere incassato 59,9 milioni per Anagni e altri 46,9 per un altro stabilimento a Rocca d’Evandro, hanno trasformato la fabbrica in sito di assemblaggio di componenti asiatiche. Attualmente la cassa integrazione, che sta per scadere, riguarda 1.350 persone. La regione ha stanziato altri 60 milioni destinati all’imprenditore interessato a rilevare la società e salvare l’occupazione.
166,8 milioni: costo totale per lo Stato

VALTUR, 74,4 MILIONI SPRECATI NEI VILLAGGI
La società turistica nel 2004 si era impegnata ad aprire cinque villaggi tra Trapani e Ragusa per un onere complessivio a carico dello Stato di 74,4 milioni (52,1 fondi statali, 22,3 Regione Siciliana). Non è mai stato realizzato nulla di quanto preventivato e la Valtur, schiacciata dal peso di 300 milioni di debiti, ha evitato il fallimento riuscendo ad accedere all’amministrazione straordinaria. È in vendita, ma per ora non si è presentato alcun potenziale compratore, mentre i 2 mila creditori (fra i quali i dipendenti e la onlus Save the children) attendono il pagamento degli arretrati.
300 milioni di debiti

VINYLS, SI SPERA NEI BRASILIANI
Il gruppo chimico, dopo avere ceduto lo stabilimento di Ravenna a una società di oli vegetali che però non è ancora partita, ha due impianti: uno a Porto Torres (dove due operai sono saliti su una torre per protesta) e uno a Porto Marghera. È stato dichiarato insolvente nel giugno del 2009 ma nel 2010 ottiene un aiuto di stato di 31,5 milioni di euro sotto forma di garanzia bancaria finalizzata al rilancio. I dipendenti sono, tra Sardegna e Veneto, circa 250: continuano a lavorare per evitare lo spegnimento degli impianti, che ne renderebbe impossibile la riconversione. Da giugno non ricevono più né cassa integrazione né stipendio. Ora, per Porto Marghera, si sarebbe fatto avanti un gruppo brasiliano.
31,5 milioni di aiuti pubblici

EURALLUMINA, STRANIERI IN FUGA
Il 17 agosto 2006, appena sette giorni dopo la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale della concessione di 15,6 milioni di sussidi, i proprietari dell’Eurallumina, i brasiliani di Rio Tino, la vendono ai russi della Rusal i quali, l’anno successivo, ottengono altri 11,5 milioni di sussidi a fondo perduto. Passano 2 anni e nel 2009 l’azienda chiude lasciando a casa 700 persone (indotto compreso) la cui sorte è legata a quella dell’Alcoa: il 30 per cento di ossido di alluminio che produce l’Eurallumina è venduto proprio all’Alcoa. Un’inchiesta dell’Antitrust europeo ha scoperto che ha goduto di aiuti illegittimi dal 2004 ma non li ha ancora restituiti (6,5 milioni).
11,5 milioni a fondo perduto

FIAT TERMINI IMERESE, GLI AIUTI NON BASTANO
Il 26 giugno 2009 il Cipe assegna al ministero dello Sviluppo 300 milioni di euro destinati a risolvere l’emergenza occupazionale a Pomigliano d’Arco e a Termini Imerese. Nonostante questo la Fiat ha deciso di chiudere lo stabilimento siciliano che occupava 1.300 persone. Per rilevarlo si era fatta avanti la società DrMotors di Macchia d’Isernia, attirata da oltre 178 milioni di euro che regione e Stato avevano stanziato come aiuto a chi avesse rilevato lo stabilimento. L’iniziativa della Dr (anch’essa finita in crisi) fallisce soprattutto per il no delle banche a finanziare l’operazione. Ora gli operai sono in cassa integrazione, che scade tra meno di un anno.
178 milioni pubblici in palio

DE TOMASO, ARIA DI TRUFFA
Nel 2011 la società ha ottenuto 19,2 milioni di euro per varare programmi di formazione professionale per i dipendenti che però non sono mai partiti. Per questo il proprietario della società, Gianmario Rossignolo, è agli arresti domiciliari con l’accusa di truffa ai danni dello Stato. Tutti i dipendenti, circa 1.100 persone, sono in cassa integrazione che scade nel giugno del 2013. Nel 2005 la Ue aveva anche concesso un finanziamento a fondo perduto da 80,9 milioni (su 218 chiesti dall’Italia) per permettere alla De Tomaso di realizzare una joint venture con la russa Uaz e creare un nuovo stabilimento di supercar in provincia di Crotone. Piano mai decollato.
19,2 milioni concessi per la formazione professionale

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Marco Cobianchi

Sono nato, del tutto casualmente, a Milano, ma a 3 anni sono tornato a casa, tra Rimini e Forlì e a 6 avevo già deciso che avrei fatto il giornalista. Ho scritto un po' di libri di economia tra i quali Bluff (Orme, 2009),  Mani Bucate (Chiarelettere 2011), Nati corrotti (Chiarelettere, 2012) e, l'ultimo, American Dream-Così Marchionne ha salvato la Chrysler e ucciso la Fiat (Chiarelettere, 2014), un'inchiesta sugli ultimi 10 anni della casa torinese. Nel 2012 ho ideato e condotto su Rai2 Num3r1, la prima trasmissione tv basata sul data journalism applicato ai temi di economia. Penso che nei testi dei Nomadi, di Guccini e di Bennato ci sia la summa filosofico-esistenziale dell'homo erectus. Leggo solo saggi perché i romanzi sono frutto della fantasia e la poesia, tranne quella immortale di Leopardi, mi annoia da morire. Sono sposato e, grazie alla fattiva collaborazione di mia moglie, sono papà di Valeria e Nicolò secondo i quali, a 47 anni, uno è già old economy.

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