Lavoro: modello tedesco e modello spagnolo a confronto
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Economia

Lavoro: modello tedesco e modello spagnolo a confronto

Ecco perché il premier Renzi si ispira al sistema di welfare della Germania e rifiuta di imitare le riforme adottate a Madrid

La Germania è il nostro modello, la Spagna no. È il messaggio lanciato più volte nelle scorse settimane dal premier Matteo Renzi e ribadito anche ieri dalla Festa dell'Unità, dove ha ospitato il segretario dei socialisti spagnoli, Pedro Sánchez, astro nascente della politica iberica e strenuo oppositore delle riforme del lavoro attuate a Madrid dal governo di centrodestra di Mariano Rajoy. Ma in cosa consistono le riforme spagnole e cosa le distingue da quelle realizzate invece in Germania?

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Le riforme tedesche furono messe in cantiere tra il 2003 e il 2005, prima della crisi internazionale, dal cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder (qui tutte le caratteristiche del sistema tedesco ). Le misure adottate a Madrid sono invece molto più recenti e risalgono al 1 semestre del 2012, quando il governo Rajoy tentò di dare una risposta all'impennata della disoccupazione, liberalizzando fortemente il mercato del lavoro e attenuando le tutele contro i licenziamenti.

CONTRATTI NAZIONALI ADDIO
Come hanno evidenziato tempo fa gli analisti del servizio studi di Bnl , uno dei pilastri della riforma spagnola è stato l'indebolimento degli accordi collettivi nazionali di lavoro, a vantaggio dei contratti aziendali. In pratica, le imprese iberiche possono rinunciare oggi al contratto collettivo della loro categoria e introdurre modifiche alle condizioni di lavoro dei dipendenti (inclusi i salari, gli orari e i turni), in presenza di particolari ragioni economiche e organizzative.

LICENZIAMENTI PIU' FACILI
Le riforme di Rajoy hanno allentato molti dei vincoli di legge contro i licenziamenti, sia individuali che collettivi. Per quest'ultimi, è stato eliminato l'obbligo per le imprese di ottenere prima un'autorizzazione amministrativa, mentre resta in vigore il vincolo dei negoziati sindacali. Per portare a termine dei tagli al personale, le aziende devono dunque confrontarsi prima con le organizzazioni dei lavoratori. Sono stati però limitati i casi in cui i licenziamenti collettivi possono essere annullati dal giudice con una sentenza.

INDENNITA' RIDOTTE
Ancor più significativa la deregulation attuata per i licenziamenti individuali. Le imprese iberiche, infatti, possono oggi lasciare a casa un dipendente non appena subiscono un calo del fatturato o una riduzione del reddito ordinario che si protraggono per tre trimestri consecutivi. Inoltre, in caso di licenziamento senza giusta causa, l'indennizzo spettante al lavoratore è stato ridotto da 45 a 33 giorni di stipendio, per ogni anno di anzianità nell'azienda, con un tetto massimo che non può superare comunque le 24 mensilità di salario (contro le 42 previste in precedenza).

Nella riforma spagnola non mancano poi alcuni incentivi alle nuove assunzioni. Le piccole e medie imprese con meno di 50 addetti, per esempio, possono beneficiare di agevolazioni fiscali sui nuovi contratti di lavoro stipulati, se non hanno effettuato tagli al personale nei sei mesi precedenti. A parte quest'ultimo dettaglio, però, è indubbio che le misure adottate dal governo di Madrid si siano molto concentrate sulla flessibilità in uscita.

L'obiettivo del governo Rajoy è stato infatti quello di stimolare le assunzioni, rendendo meno difficile licenziare. Ed è per questa ragione che il premier Renzi, costretto a mediare tra le diverse anime della sua maggioranza, oggi rifiuta il modello spagnolo e punta su quello tedesco. Le riforme del cancelliere Schröder, infatti, toccarono solo marginalmente la disciplina dei licenziamenti e si concentrarono molto di più sui sussidi alla disoccupazione, che in Germania sono stati resi assai flessibili e legati a doppio filo a dei piani di reinserimento nel mondo produttivo dei lavoratori rimasti a casa. Assumendo questa posizione contro il modello spagnolo, però, il premier dovrà però vedersela con gli alleati dell'Ncd che oggi ripropongono il tema della flessibilità in uscita e la cancellazione dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Si tratta di un'ipotesi che ha già messo in fibrillazione la maggioranza, dove la sinistra del Partito Democratico non è certo disposta a fare concessioni su questo fronte.

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Andrea Telara

Sono nato a Carrara, la città dei marmi, nell'ormai “lontano”1974. Sono giornalista professionista dal 2003 e collaboro con diverse testate nazionali, tra cui Panorama.it. Mi sono sempre occupato di economia, finanza, lavoro, pensioni, risparmio e di tutto ciò che ha a che fare col “vile” denaro.

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