Lavoro, l’identikit dell’imprenditore italiano…e come diventarlo
Economia

Lavoro, l’identikit dell’imprenditore italiano…e come diventarlo

Da qualche tempo il mondo dell’imprenditoria mi incuriosisce e affascina non poco. Sarà per il modo in cui un’attività imprenditoriale nasce e cresce, per la modalità in cui chiama a mettersi alla prova o per il fatto di avere …Leggi tutto

 

(Credits: istockphoto)

Da qualche tempo il mondo dell’imprenditoria mi incuriosisce e affascina non poco. Sarà per il modo in cui un’attività imprenditoriale nasce e cresce, per la modalità in cui chiama a mettersi alla prova o per il fatto di avere una propria creazione tra le mani; spesso mi vengono in mente possibili spunti e idee e chissà, un giorno forse prenderanno forma. Certo non è una passeggiata, il mercato è complesso e sono caldamente consigliate alcune competenze. Nulla di impossibile però, chi non ha seguito percorsi universitari dedicati e non vuole cimentarsi subito con la pratica ma preferisce costruirsi delle basi teoriche, esistono università e master ad hoc dove prepararsi ad affrontare un’esperienza imprenditoriale approfondendo tutti gli aspetti che si incontreranno lungo la strada.

Le domande che potrei fare a qualcuno che ci è già passato, o ancora meglio che insegna come diventare imprenditore, potrebbero essere migliaia per togliermi alcuni dubbi che ogni tanto bussano alla mia porta. Con questo post ho provato a chiarire un po’ le idee su cosa vuol dire essere imprenditore oggi. Ho parlato con il Prof. Fernando Alberti, docente di Strategie imprenditoriali e Presidente del Comitato Scientifico del Master in Management della Piccola e Media Impresa della LIUC – Università Cattaneo per tracciare un identikit dell’imprenditore in Italia e capire quali sono le tendenze in atto.

Qual è il profilo ideale di un aspirante imprenditore?

Secondo i dati raccolti dal Global Entrepreneurship Monitor l’aspirante imprenditore italiano tipico è maschio (in rapporto di 2:1 rispetto alle femmine), per quasi il 50% dei casi è residente nel Nord Italia, ha tra i 24 e i 35 anni ed è laureato (l’incidenza di neoimprenditori tra i laureati è due volte e mezza quella di chi non ha completato le scuole superiori e il doppio di quella di chi ha un diploma di scuola secondaria).

Quali competenze è meglio avere per poter avviare un’attività imprenditoriale?

Si tratta certamente di avere un giusto mix tra capacità imprenditoriali e caratteristiche personali. Sul primo fronte, gli studi mostrano come siano le conoscenze pregresse sul settore, sul mercato, sulle modalità di servire i clienti, sulla tecnologia a spiegare l’avvio di un’attività imprenditoriale, congiuntamente a capacità cognitive di riconoscimento di opportunità imprenditoriali, di basso grado di inerzia all’azione e in generale di prontezza, quella che gli anglosassoni chiamano alertness imprenditoriale. Sul secondo fronte, certo, le esperienze di vita e le condizioni di contesto giocano un ruolo importante nel modellare le caratteristiche personali degli individui imprenditori, più proattivi, ottimisti, propensi al rischio di altri. A ciò si aggiungono competenze manageriali che fino ad una generazione fa non erano così determinanti in relazione ad un ambiente competitivo più facile e meno ostile. Oggi gli strumenti del management si devono ben integrare con il profilo imprenditoriale perché l’attività non solo abbia inizio ma possa sopravvivere profittevolmente nel tempo.

Cosa spinge una persona a tentare un’esperienza in proprio?

Chi si lancia nell’avventura imprenditoriale lo fa, per lo più, per sfruttare un’opportunità (di prodotto, di mercato o di processo) anziché per necessità. Rispetto alle imprese avviate per perseguire un’opportunità di mercato, solo una piccola parte è dovuta al fatto che il neo imprenditore non vede altre possibilità di ottenere un reddito. Non si tratta, quindi, di un fenomeno di self-employment e quindi di sostituzione di occasioni assenti nel mercato del lavoro, ma di veri e propri processi di scoperta e sfruttamento di opportunità di innovazione anche soft o incrementale, ma pur sempre tesi al lancio di nuovi prodotti, o all’ingresso in nuovi mercati o anche al ripensamento di processi produttivi, distributivi o commerciali.

Quali sono le tendenze attuali in Italia?

L’Italia ha un indice TEA (indice di imprenditorialità globale) piuttosto basso rispetto alla media delle economie avanzate e ad altri Paesi in Europa. Ciò è dovuto sia a condizioni specifiche degli individui, quale una minore percezione di avere abilità e conoscenze sufficienti ad avviare un’impresa e l’intenzione/determinazione di avviare attività in proprio sia a condizioni ambientali (una marcata maturità dei settori industriali dell’economia italiana, la prevalenza di imprese micro e piccole, la stigmatizzazione di un eventuale fallimento, le dinamiche famigliari, ecc.) sia, infine, a condizioni istituzionali (complessità burocratica, poche politiche a sostegno dell’imprenditoria, difficoltà di reperimento di finanziamenti, assenza sostanziale di seed capital, ovvero di capitali privati a supporto dello start-up). Mi piace sempre ricordare una ricerca della Bank of Boston secondo la quale se le aziende fondate da laureati del MIT di Boston e dalla stessa università formassero una nazione indipendente, i redditi prodotti da queste aziende porterebbero quella nazione alla 24° più grande economia del mondo. Evidentemente molto c’è ancora da fare in Italia per creare le condizioni di contesto ideale per stimolare e supportare l’imprenditorialità.

Che ruolo ha l’imprenditoria femminile in questo momento?

Per quello che è il nostro punto di osservazione, sembra stentare ancor più di quella maschile, nonostante le reiterate occasioni di supporto, finanziamento e incentivazione che alcune Regioni italiane hanno messo a punto. Secondo i dati dell’Osservatorio Imprenditoria Femminile di Unioncamere, il 60,5% delle imprese femminili italiane sono ditte individuali, le società di persone sono il 22,4% e quelle di capitale il 14,7%. Consorzi, cooperative e altre forme complessivamente non raggiungono il 3%. Ragionando in una logica comparativa emerge che, seppure anche tra gli imprenditori la ditta individuale sia ancora la forma giuridica maggiormente utilizzata (53,4%), la società di capitale raccoglie un quarto delle preferenze degli uomini (25%), circa undici punti percentuali in più rispetto alle donne e le società di persone si aggirano intorno al 18%. Gli studi internazionali mostrano come l’imprenditoria femminile abbia anche tratti specifici in termini organizzativi e strategici: una sottocapitalizzazione maggiormente accentuata, che spiegherebbe perché le imprese condotte da donne si concentrerebbero maggiormente nel settore dei servizi e nelle economie tradizionali; la mancanza di innovazione tecnologica, che spiegherebbe una maggiore difficoltà di crescita anche dimensionale dell’impresa femminile; un maggior ricorso al networking, soprattutto in fase di start-up, per la ricerca di risorse e competenze chiave oltre che per  incrementare l’autostima e la fiducia nelle proprie capacità e per elaborare modelli di comportamento in cui riconoscersi.

 

Le opportunità per intraprendere la strada dell’imprenditorialità ci sono, così come i modi per imparare ad impostare tutte le fasi legate all’avvio di un’attività. Con il Prof. Emilio Paccioretti, Direttore del Master in Management della Piccola e Media Impresa – MAPI della LIUC – Università Cattaneo, ho approfondito le tematiche affrontate nel Master di cui si occupa:

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(Partecipanti della prima edizione del Master in Management della Piccola e Media Impresa)

A chi si rivolge il vostro master?

Destinatari del corso sono sia manager e imprenditori che vogliano internazionalizzare o ottimizzare la gestione della propria attività, sia diplomati e/o laureati interessati a creare una nuova azienda o a intraprendere un’attività di consulenza per una PMI. Per venire incontro alle esigenze di tutti, le sessioni d’aula del Master coprono complessivamente 8 settimane distribuite su 9 mesi (una intensiva al mese).

Quali sono le esigenze più “sensibili” delle imprese già avviate che scelgono di partecipare al master?

Sicuramente le tre esigenze principali – attorno alle quali il Master è stato costruito, anche grazie alla partnership strategica con la Piccola Industria di Confindustria – sono Gestione (in primis, controllo dei costi), Internazionalizzazione (chi non esporta, ormai, non può rimanere a galla) e Innovazione (da più parti invocata come chiave della ripresa). La formazione è un’esigenza assolutamente trasversale: se è vero infatti che alla prima edizione del master, da poco conclusasi, hanno partecipato rappresentanti di settori molto diversi, quali manifatturiero, servizi all’impresa e alla persona, green economy, turismo e beni culturali, è altrettanto vero che oggi anziché ragionare per settori ha più senso ragionare per fattori gestionali, ovvero contenere i costi, fare marketing ecc. Meglio ancora, poi, se i fattori vincenti si combinano con i settori vincenti!

Quali tematiche vengono affrontate nel master? L’accesso è riservato a chi già possiede competenze specifiche o anche aspiranti imprenditori?

Il Master è aperto sia a persone che possiedono già competenze specifiche o che hanno esperienza sul campo, sia a chi non ne ha e ha necessità di un training specifico per aspiranti imprenditori. Il Master, attraverso una metodologia didattica “attiva” ed orientata all’azione, si propone di:

-       orientare i partecipanti a sviluppare le proprie competenze, attitudini imprenditoriali, manageriali;

-       acquisire le competenze per la creazione e la gestione di una PMI;

-       realizzare il check-up strategico, strutturale, operativo di una PMI;

-       costruire il business plan per la propria business idea o un progetto di sviluppo ed internazionalizzazione di una PMI;

-       sviluppare capacità di problem solving e decision making.

A completamento delle sessioni è previsto lo svolgimento di stage aziendali o project work (in base allo status occupazionale dei partecipanti). Tra i partecipanti alla prima edizione, molte le “storie” di successi già consolidati ma anche tutti da realizzare: per esempio, la nuova generazione dell’azienda a conduzione familiare che lavora nel settore dell’energia e che sposando il fotovoltaico è arrivata in Svizzera, dall’altro il giovane consulente che prestando la sua opera in un’azienda ha trovato il partner per avviare una nuova impresa sviluppando una applicazione per cellulari al servizio delle cosiddette smart cities.

 

 

 

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Luca Orioli

Mi chiamo Luca, classe '83, esperto di comunicazione, giornalista free lance e 'startupper' da una vita con una decina di progetti chiusi nel cassetto che stanno lentamente prendendo forma. Appassionato di fotografia e serie tv, ho una formazione umanistica e l’estremo bisogno di vedere cose nuove.
Qualche anno fa, terminata l’Università [degli Studi di Milano, laurea in Scienze dei Beni Culturali], mi sono ritrovato un po’ spaesato nell’affacciarmi sul mondo del lavoro. Leggevo annunci dove ricercavano account, responsabili risorse umane, project manager o community manager, etichette che sembravano nascondere un mondo, ma per me completamente prive di significato. Dopo diverse esperienze ho intrapreso la strada che sto percorrendo oggi, ma da quel momento è rimasta l'esigenza di tradurre in parole comprensibili il mondo delle professioni. Così nasce il mio blog, Lavoro in Corso.

Vuole essere un Virgilio nella giungla dell'impiego, una traccia per esplorare il panorama del lavoro tra professioni emergenti, opportunità sommerse, esperienze vissute e capire in cosa consiste un determinato profilo, come intraprenderlo, quale percorso fare e le competenze necessarie per arrivarci.

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