Apprendistato, per rilanciarlo impariamo dai tedeschi
Economia

Apprendistato, per rilanciarlo impariamo dai tedeschi

Il ministro Elsa Fornero vuole fare ripartire i contratti di scuola-lavoro. Ha un modello formidabile, quello di Berlino, dove ogni anno 1,5 milioni di studenti lavorano in azienda 3 o 4 giorni a settimana. Un sistema che è già stato replicato a Bolzano. Con ottimi risultati.

Medaglia d’oro per Karin Fischnaller, un bronzo a Lucas Gianordoli e a Michael Pareiner. Una squadra fortissima: ha incassato 15 premi su 18 concorrenti ai campionati mondiali. Ma in che sport, con quei nomi tedeschi? Sci di fondo? Combinata nordica? Macché, grafica, rivestimento pavimenti, ristrutturazioni edilizie. Sono tre delle discipline dei World skills di Londra 2011, l’olimpiade biennale dei mestieri, dove Karin, Lucas e Michael si sono coperti di gloria: «Sì, siamo molto avanti e i nostri l’hanno dimostrato» dice compiaciuto l’allenatore, Hanspeter Munter.

Insomma, i giovani dal nome tedesco non sono atleti, ma apprendisti artigiani: stanno entrando nel mercato del lavoro imparando un mestiere a cavallo fra teoria e pratica. E sono fortunati, perché sono nati in Val di Funes, a Prato allo Stelvio, in Valle Aurina: sono altoatesini, insomma, come il loro allenatore. E per questo godono del privilegio di vivere in un pezzo di Germania in Italia. La Provincia di Bolzano, infatti, ha sfruttato bene la sua autonomia proprio per importare l’ordinamento tedesco sull’apprendistato, basato sull’ultima riforma del 2005. Una macchina oliatissima, che permette ai tedeschi (quelli veri) di avere 1,5 milioni di apprendisti (in Italia oggi sono 500 mila a malapena), impegnati in 358 diversi mestieri, mentre il loro tasso di disoccupazione giovanile è l’8 per cento sotto i 25 anni (da noi supera il 35) e per converso hanno un tasso di occupazione sotto i 24 anni pari al 75 per cento.

«A Londra, per i World skills, abbiamo trovato pane per i nostri denti: la competizione è stata difficile» racconta ancora emozionato Dominik Gruber, 19 anni, pittore e mascotte della delegazione altoatesina. A dare filo da torcere ai tedeschi d’Italia sono stati, prevedibilmente, i tedeschi di Germania.

In Italia, invece (dove pure l’apprendistato esiste dal 1969) i numeri non crescono: nei primi 7 mesi del 2012 i contratti stipulati sono stati meno di 200 mila e la riforma del ministro del Welfare Elsa Fornero, che pure prometteva di fare dell’apprendistato la via maestra per l’accesso al lavoro, a sentire imprenditori e consulenti pare stia ottenendo l’effetto contrario. «Inevitabile, da noi l’appredistato continua a costare troppo» sintetizza Stefano Colli Lanzi, amministratore delegato e fondatore del GiGroup, la più grande agenzia del lavoro a capitale interamente nazionale. «In Italia il compenso dell’apprendista arriva circa al 72 per cento dei minimi retributivi normali, mentre nei paesi dove l’apprendistato funziona il suo costo va dal 20 al 50 per cento del costo del lavoro normale per la corrispondente tipologia professionale».

Ma Fornero non demorde: «L’apprendistato è una grande opportunità» dice il ministro a Panorama. «La riforma del mercato del lavoro lo mette al centro dell’attenzione. E io sto facendo il possibile perché produca tutti i suoi effetti. In passato è stato troppo spesso utilizzato per ridurre il costo del lavoro, senza creare le premesse per valorizzare lavoro e produttività dei giovani. Investire su un buon apprendista significa impiegare risorse nella formazione dei giovani e renderli più produttivi. Il monitoraggio della riforma, sono certa, saprà dare ragione di questi obiettivi. Occorre che i diversi attori lavorino insieme».

I numeri, però, sono contro il ministro. In Italia il costo di un apprendista è pari al 72 per cento del salario minimo corrispondente, ma in Gran Bretagna l’industria paga il 46 per cento e i servizi il 70; in Germania la media è rispettivamente al 29 e al 34; in Svizzera ancora meno, il 14 e il 18 per cento; in Francia si va per fasce d’età, sotto i 19 anni si guadagna il 25 per cento, dai 20 ai 23 il 42 per cento e sopra i 24 anni il 78. «L’unico modo per rilanciare l’apprendistato in Italia» suggerisce Colli Lanzi «sarebbe cambiare le regole per la retribuzione: per esempio il primo dei 3 anni andrebbe pagato al 30 per cento, il secondo al 60 e il terzo al 90 per cento». Non basta, dove funziona, l’apprendistato ha la decontribuzione totale: «Da noi per esempio è così» conferma Roberto Bizzo, assessore al Lavoro della Provincia di Bolzano: «La legge di stabilità 2012 prevede la decontribuzione totale per i primi 3 anni di impiego. Ma le nostre regole, in più, stabiliscono un compenso crescente col progredire della formazione».

Così nel primo semestre l’apprendista intasca il 40 per cento della retribuzione lorda della qualifica di arrivo, nel secondo semestre il 45 e così via, fino all’85 per cento del quarto anno. «Però siamo un po’ preoccupati» chiosa Bizzo «perché dal 3,7 per cento la nostra percentuale di disoccupazione giovanile sta salendo verso il 4». Capirai il problema… La verità è che l’Alto Adige resta un modello inimitabile, non solo per le disponibilità economiche della provincia autonoma, ma anche perché 14.500 aziende con 45 mila addetti ne fanno uno straordinario ecosistema di microimprese familiari dove i giovani che studiano riescono anche, contemporaneamente, a imparare il mestiere.

A rendere possibile il tutto, in Alto Adige, è la mentalità tedesca: «L’apprendistato è il fondamento dell’economia germanica» conferma Franco Tatò, oggi presidente di Enciclopedia Treccani e Fullsix, in passato di Mondadori, Enel, e prima ancora della Triumph, nonché manager germanista da sempre. «L’apprendistato lì è essenziale nella costruzione del lavoro. Tutte le aziende hanno apprendisti, le più piccole si associano per usarli in pool, le più grandi hanno scuole interne. I programmi formativi vengono concordati con le associazioni di categoria. È una cosa seria e tutti lavorano come matti. Mio nipote ha fatto un anno di apprendistato in banca, in Germania. Prezioso e massacrante».

Il punto chiave è che a Berlino l’apprendistato non è considerato un contratto di lavoro, come avviene a Roma, quanto il prolungamento dell’istruzione oltre la scuola dell’obbligo. L’apprendistato si rivolge ai giovani che hanno già un diploma di scuola media o di media superiore tecnica, ma non a chi ha un diploma di maturità liceale. Dopo la scuola, la maggioranza di coloro che hanno conseguito un diploma diverso dalla maturità inizia un percorso di apprendistato all’interno di una delle 348 categorie professionali riconosciute dallo Stato: dal fornaio al parrucchiere, fino all’agente assicurativo o immobiliare o al perito meccanico, informatico e così via. Di solito in una settimana l’apprendista trascorre 4 giorni al lavoro, con integrazione di studi teorici da compiere a casa, e 1 giorno in aula, con verifiche sull’apprendimento maturato.

È a questo modello che pensava, in realtà, Elsa Fornero per l’Italia. Per questo ha chiesto a Pubblicità progresso di studiare una campagna di spot (testimonial, pare, sarà Fiorello) che stimoli imprese e giovani a venirsi incontro. Ma non basta: «Abbiamo altri tre filoni d’azione» spiega il ministro. «Il primo è il dialogo con le regioni, cui è affidato il delicato compito di accompagnare la valorizzazione dello strumento. Poi la campagna di comunicazione. Con i giovani abbiamo iniziato a interagire alla conferenza di Napoli, ecco il terzo filone, quando ho incontrato la collega tedesca Ursula von der Leyen e, appunto, giovani, scuole di formazione e imprese. Queste ultime rappresentano il quarto filone delle azioni concrete intraprese: solo con un convinto consenso e la collaborazione dei datori di lavoro avremo successo. Infine i consulenti del lavoro, cui è affidato l’onere di sposare e dare forza all’apprendistato. Lo spirito di collaborazione da loro dimostrato mi fa essere ottimista».

«Ma quello che serve è soprattutto un vero salto culturale» conclude Colli Lanzi, che in Germania ha una controllata che si occupa anche di apprendistato. Prosegue: «Un salto culturale sia da parte delle aziende, sul fronte dei costi, sia dei giovani, che devono impegnarsi molto di più. E poi  servono più incentivi: sull’apprendistato c’è oggi un 10 per cento di contributi che andrebbero eliminati del tutto, almeno per il primo anno (lo sono solo per le aziende fino a nove dipendenti, ndr). Basterebbe copiare dalla Germania, anzi dall’Alto Adige».

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Sergio Luciano