Lavorare 28 ore la settimana, perché in Italia è difficile
Economia

Lavorare 28 ore la settimana, perché in Italia è difficile

In Germania il sindacato dei metalmeccanici ottiene una riduzione di orario. Merito di un modello di contrattazione assente nel nostro Paese

Lavorare 28 ore la settimana. Per i metalmeccanici del Baden Wurtenberg, il terzo land più ricco di Germania dove il pil pro capite supera del 29% la media europea, non è un sogno ma una realtà che si sta per avverare. Merito dell'accordo siglato nella prima settimana di febbraio dalla Confindustria locale e dalla Ig Metall, il maggior sindacato di categoria dei lavoratori metallurgici e del comparto meccanico in Germania.

Le 28 ore alla settimana non sono per tutti ma solo per chi ha bisogno di prendersi cura di figli o di parenti anziani. Inoltre, l'orario ridotto potrà essere richiesto solo per un arco di tempo compreso tra 6 e 24 mesi. A parte questi limiti, però, l'accordo firmato dalla Ig Metall viene considerato comunque un evento di portata storica perché ha buone chance di fare da apripista ad altre intese simili in tutta la Germania.

Il modello tedesco

Non sarà facile vedere invece un accordo del genere firmato in un paese come l'Italia, dove le relazioni industriali sono, per certi aspetti, lontane anni luce dal modello tedesco. Anche in Germania, come in Italia, la contrattazione collettiva di lavoro conserva una grande importanza. Tuttavia, dagli anni '90 in poi, si è fatto sempre più spazio un modello di contrattazione decentrata, che ha ridotto il raggio di azione degli accordi collettivi firmati a livello nazionale, a vantaggio di quelli siglati nei singoli Land o nelle singole aziende.

Secondo un'analisi pubblicata per il sito Lavoce.info da quattro economisti tedeschi (Christian Dustmann, Bernd Fitzenberger, Uta Schonberg e Alexandra Spitz-Oener), il modello tedesco di relazioni industriali decentrate è il vero artefice della rinascita industriale della Germania avvenuta dal 2005 in poi, dopo la lunga fase di stagnazione economica degli anni '90. Proprio grazie alla contrattazione decentrata, che meglio si adatta alle specifiche esigenze di ogni azienda e territorio, le fabbriche tedesche hanno recuperato produttività, fino a permettersi “il lusso” di concedere ai dipendenti una consistente riduzione di orario come quella dell'accordo sulle 28 ore.

Vittorie e sacrifici

E non è un caso che un'intesa sia stata sperimentata innanzitutto in uno dei Land tedeschi più ricchi, dove ci sono multinazionali del calibro di Bosch, Daimler-Benz o Porsche. Lì si vedrà se le 28 ore sono realmente sostenibili e applicabili anche ad altri territori un po' meno avanzati dal punto di vista industriale. Ben si capiscono dunque le difficoltà nell'esportare questo modello in Italia, dove la contrattazione decentrata resta relegata a un ruolo da comprimaria nelle relazioni industriali.

La parte del leone, nel decidere gli orari o le retribuzioni, nel nostro paese spetta ancora al contratto di lavoro nazionale di ogni singolo settore, mentre gli accordi collettivi territoriali o aziendali hanno per lo più una funzione integrativa e marginale.

Non va dimenticato inoltre un particolare importante. Oggi i sindacati del Baden Wurtenberg ottengono significative concessioni grazie anche al buon stato di salute dell'industria tedesca. Ma in passato, quando le cose andavano male, gli stessi sindacati hanno accettato sacrifici notevoli, con accordi collettivi che prevedevano delle eccezioni significativa alle leggi nazionali.

Nel 2009, in piena crisi economica, i metalmeccanici del Baden Wuttenberg hanno siglato per esempio un'intesa che, per evitare i licenziamenti, consentiva alle imprese di utilizzare personale con contratti a tempo determinato per un arco di tempo fino a 4 anni, cioè per un periodo pari al doppio della durata massima normalmente prevista dalla legge. Prima di arrivare all'accordo sulle 28 ore, insomma, la strada da percorrere è stata lunga e faticosa.

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Andrea Telara

Sono nato a Carrara, la città dei marmi, nell'ormai “lontano”1974. Sono giornalista professionista dal 2003 e collaboro con diverse testate nazionali, tra cui Panorama.it. Mi sono sempre occupato di economia, finanza, lavoro, pensioni, risparmio e di tutto ciò che ha a che fare col “vile” denaro.

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