"La guerra dei dazi? Potrebbe sgonfiarsi con le elezioni americane di novembre"
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Economia

"La guerra dei dazi? Potrebbe sgonfiarsi con le elezioni americane di novembre"

È l'ipotesi del gestore Michele Pedroni di Decalia: Trump userebbe lo scontro per fini elettorali. Altrimenti si rischia una frenata dell'economia globale

I dazi, la Borsa e le elezioni americane di mid-term del prossimo 6 novembre. Quale filo collega i tre vertici di questo improbabile triangolo? Semplice, la politica di Donald Trump, che potrebbe usare proprio le nuove tariffe doganali, che tanto stanno spaventando i mercati finanziari, per vincere il prossimo appuntamento elettorale. E, superato quello scoglio, abbassare i toni rinunciando a una pericolosa guerra commerciale con la Cina e l’Europa e restituendo serenità agli investitori.

Questo scenario, che assomiglia più a un auspicio che a una previsione, è il frutto di un’analisi condotta per Panorama.it da Michele Pedroni, senior portfolio manager della casa d’investimenti svizzera Decalia (che di recente ha lanciato il primo fondo di investimento azionario dedicato all’economia circolare. Attualmente Decalia gestisce circa 3,5 miliardi di euro di capitale e ha appena aperto una sim a Milano).

Secondo Pedroni “una guerra commerciale non è nell’interesse di nessuno. Soprattutto visto che non sono solo le discussioni con Cina ed Europa a tenere banco, ma anche le negoziazioni sul futuro del Nafta (l’accordo di libero scambio nord americano) sono lontane dall’essere risolte. Questa escalation è sicuramente anche una strategia per arrivare più forti alle elezioni di medio-termine, dopo le quali le tensioni potrebbero ridursi”. 

Per ora più parole che fatti

Il gestore ricorda intanto che gli annunci di nuovi dazi sulle importazioni in America di alluminio e acciaio e poi di auto e semiconduttori e infine di numerosi prodotti cinesi per un valore di circa 200 miliardi, non sono ancora diventati realtà. In altre parole “dallo scorso gennaio Trump ha minacciato tassazioni su 775 miliardi di dollari di beni importanti negli Stati Uniti. Ad oggi neanche il 10% di queste tassazioni sono state applicate, anche considerando la prima tranche di 34 miliardi dal 6 di luglio”.

Qual è per ora l’effetto sull’economia di questi dazi? “Se teniamo conto solamente delle attuali misure confermate (acciaio e alluminio, i 34 miliardi di prodotti cinesi, pannelli solari e alcuni macchinari specifici), l’impatto, in termini economici, è piuttosto limitato: una percentuale di pochi centesimi sul Pil mondiale, qualcosa di più sull’inflazione, ma sempre in termini di pochi centesimi di punto”.

Perciò, più che sull’economia reale, l’impatto degli annunci del presidente Usa si è sentito finora sul sentiment generale: “Si tratta di un’ulteriore fonte di incertezza in un mercato che rimane molto fragile. Siamo di fronte a diversi cambiamenti strutturali importanti e questi interventi non fanno altro che alimentare un fuoco, che seppure ancora piccolo, non sembra volersi spegnere. E la crescita dell’incertezza a sua volta, impatta sul livello degli investimenti, soprattutto quelli all’estero. Essendo oggi, i nuovi investimenti, un driver importante della crescita globale (rappresentano circa il 20% del Pil mondiale), una loro frenata rischia di rallentare la corsa dell’economia”.

L'impatto sul Pil

Se invece il livello dello scontro si alzerà, le conseguenze sulla crescita mondiale si faranno sentire forte e chiaro: “Se scatteranno davvero i nuovi dazi sugli altri 200 miliardi di prodotti cinesi e sul settore auto” avverte Pedroni “allora l’impatto rischia di essere tra lo 0,1 e lo 0,2% sia sul Pil sia sull’inflazione. Se poi queste misure dovessero essere riprese da altri Paesi, cosa ovviamente molto probabile, questa guerra potrebbe portare ad una contrazione del Pil globale nell’intorno dello 0,5%”.

Per quanto riguarda le aziende e i profitti societari “è difficile stimare l’impatto perché questo dipenderà molto da quanto le società decideranno di assorbire, in termini di prezzo finale, e quanto invece riportare sul cliente. Sul mercato americano, se consideriamo 50 miliardi di prodotti soggetti a tassazione si potrebbe pensare ad un impatto dell’1% sui profitti societari. Per adesso, nei settori dove i nuovi dazi sono in vigore, gli impatti sono stati minimi. Il mercato dell'acciaio è rimasto forte (i prezzi interni in Cina sono al di sopra dei livelli di inizio anno e quelli delle esportazioni si sono mantenuti sugli stessi livelli)”. 

Insomma, il timore dei gestori è “che quello che poteva sembrare un ribilanciamento parziale e graduale si trasformi in qualcosa di più generale e che inizi ad influenzare negativamente ed in modo sostanziale la crescita dell’economia globale”. Ma c’è sempre la speranza che Trump guardi più alle elezioni che alla distruzione degli equilibri commerciali mondiali.
 


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Guido Fontanelli