Jobs Act e dipendenti pubblici, perché non vale anche per loro
Angelo Carconi/Ansa
Economia

Jobs Act e dipendenti pubblici, perché non vale anche per loro

La riforma del lavoro che rende più facili i licenziamenti non verrà applicata agli statali. Ecco le ragioni di questa scelta, voluta dal premier

Sono regole valide per i dipendenti del settore privato, ma non per gli impiegati statali. E' quanto ha ribadito ieri il premier, Matteo Renzi, riguardo alle norme contenute nel primo decreto attuativo del Jobs Act, la riforma del lavoro appena varata dall'esecutivo, che introduce il contratto a tutele crescenti e rende più facili i licenziamenti per i nuovi assunti, rottamando in buona parte l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. “Le norme del Jobs Act sono pensate solo per le aziende e non riguarderanno dunque i dipendenti pubblici”, ha detto in sostanza il presidente del consiglio, rafforzando le dichiarazioni già rilasciate nei giorni precedenti dal ministro del Welfare, Giuliano Poletti e dalla responsabile del dicastero della Pubblica Amministrazione, Marianna Madia.


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La posizione assunta da Renzi e dai suoi ministri ha aperto però una frattura nella maggioranza poiché il senatore di Scelta Civica Pietro Ichino, che ha contribuito ha scrivere il testo del Jobs Act, non la pensa allo stesso modo. Per Ichino, e per il suo collega di partito Enrico Zanetti, sottosegretario all'economia, le nuove regole sui licenziamenti riguardano anche gli statali, poiché nel primo decreto attuativo della riforma del lavoro non si fa distinzione tra dipendenti pubblici e privati. In mancanza di questa specificazione, dunque, le nuove norme sono valide per tutti. Punto e basta. E così, a causa di questa divergenza di vedute, il dibattito sugli effetti del Jobs Act si è trasformato in una questione di lana caprina, dove anche un piccolo dettaglio può fare la differenza.


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E' chiaro, però, che la posizione destinata a prevalere è quella del premier, il quale ha chiesto di aspettare i prossimi mesi di febbraio o marzo per vedere novità anche sul fronte del pubblico impiego. Entro la primavera del 2015, infatti, dovrebbe entrare in fase più avanzata il ddl Madia, la legge delega che riforma la Pubblica Amministrazione. Sarà in quell'occasione che l'esecutivo darà una rispolverata anche alle norme sui licenziamenti dei dipendenti statali. Il premier si è detto intenzionato a voler colpire gli impiegati pubblici che non fanno il proprio dovere, cioè chi ruba o chi è fannullone e assenteista. Nonostante le promesse di Renzi, però, restano molte perplessità su come si è mosso finora il governo nell'affrontare il problema dell'applicabilità del Jobs Act agli statali: un argomento che, non a caso, si è tirato dietro un lungo strascico di polemiche.


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Giuseppe Pellacani, docente di diritto del lavoro all'Università di Modena e Reggio Emilia, sul bollettino del centro di ricerche Adapt ha recentemente evidenziato un aspetto importante: tutte le riforme del lavoro approvate in passato, dalla legge Biagi alla legge Fornero, hanno sempre specificato abbastanza chiaramente quali norme contenute nei loro testi dovevano essere applicate anche al pubblico impiego e quali, invece, erano destinate a rimanere circoscritte esclusivamente al settore privato. Dentro il Jobs Act, invece, non si trova una parola capace di fare chiarezza su un punto così delicato. Proprio a causa di questa lacuna, sono nate le interpretazioni discordanti degli ultimi giorni, quella di Ichino e quella di Renzi e dei suoi ministri. Non è proprio un bell'inizio per una riforma che, a sentire il presidente del consiglio, dovrebbe rivoluzionare e semplificare il mondo del lavoro italiano.

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Andrea Telara

Sono nato a Carrara, la città dei marmi, nell'ormai “lontano”1974. Sono giornalista professionista dal 2003 e collaboro con diverse testate nazionali, tra cui Panorama.it. Mi sono sempre occupato di economia, finanza, lavoro, pensioni, risparmio e di tutto ciò che ha a che fare col “vile” denaro.

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